Roma, martedì 12 giugno 2018 – È stata presentata alla stampa l’azienda agricola, vitivinicola e di accoglienza turistica Ca’ D’Gal, situata nella zona di Asti, che è stata avviata ed è di proprietà della stessa famiglia da quattro generazioni. Formata oggi da circa 13 ettari di superficie vitata, ha più di 80 anni di storia sulle spalle. L’azienda, situata a 450 metri di altitudine su terreni impervi, si è riconvertita al biologico negli anni 90. Come sempre in questi casi dove la tradizione si abbina con l’innovazione e la voglia di stare al passo con i tempi, il territorio incide sulla scelta delle piantagioni e dei vini da produrre. Essendo la zona dell’astigiano una terra storicamente vocata ai moscati, il core business di Ca’ D’Gal e del suo attuale conduttore, Alessandro Boido, è appunto il moscato con una produzione diversificata che arriva intorno alle 100 mila bottiglie. Si tratta di un vino con un alto grado zuccherino che si sente al palato con persistenza e che abbina una bassa acidità e un grado alcolico moderato.
Per decenni il moscato prodotto ad Asti è stato il vino da dessert più famoso d’Italia. E in parte ancora lo è, sostituito negli ultimi anni da passiti, muffiti, da uve surmature o botridizzate, che hanno in qualche modo conquistato fette di mercato importanti e soprattutto le tavole degli italiani. Oggi appare come un vino un po’ retrò, ma pur sempre gradevole da regalare o da far provare al termine di un pasto. La scommessa però della famiglia Boido è quella di osare, memento audere semper diceva D’Annunzio, di provare a portare il moscato d’Asti a tutto pasto, dall’aperitivo al dolce, accostandolo a piatti particolari, delicati, leggermente speziati o comunque non invadenti, come potrebbero essere dei caprini con marmellate o dei crostini di pane senza sale e ciauscolo. Oppure a dei primi anomali, slegati dalla tradizione italiana, magari rivisti nei fondamentali come dei tortelli di ricotta fatti a mano con note amare di arancio. O ancora a carni lavorate con delicatezza e intrise di sapori esotici di pesche non ancora mature e glassa di tè nero e rafano amaro. Insomma niente di troppo deciso in bocca ma che possa inoltre bilanciare gli zuccheri presenti sempre in questi moscati Ca’ D’Gal.
«Lo zucchero c’è, va reso bevibile e versatile quindi abbiamo deciso di lavorare sull’equilibrio con l’acidità. Come si fa? Attraverso delle scelte vendemmiali precise, la riduzione delle rese in vigna e molta tecnica in cantina. L’impegno enologico è sopratutto concentrato in cantina, per ottenere dei frutti rotondi e bilanciati – ha dichiarato Alessandro Boido nel corso dell’incontro». La grande scommessa è appunto quella di proporre a tutto pasto questi moscati pregiati e cremosi al palato, persistenti sul fronte zuccherino. Non sempre l’accostamento è sembrato efficace, almeno al palato di chi non è abituato ad un esperienza sensoriale diversa. Questo perché spesso le abitudini sono le più difficili da cambiare, come suggeriva Oscar Wilde. Dopo una entrè con Moscato D’Asti Dogc, spumante di 7 gradi con una bollicina leggera, che subisce due tempi di fermentazione carbonica, piacevole nella bevuta e abbinabile anche al pesce crudo o con pietanze delicate (produzione di appena 6000 bottiglie l’anno), è stato servito il Lumine, un moscato di soli 5 gradi, rifermentato in bottiglia con una vita media di 36 mesi. Prodotto su 8 ettari con una resa relativamente bassa di 90 quintali per ettaro e una produzione di 70 mila bottiglie, viene venduto al prezzo di 13 euro.
Successivamente una mini verticale di Vite Vecchia, prodotto di eccellenza dell’Azienda con assaggi da vendemmie 2014, 2010 e 2007. Una sciccheria e anche una sorpresa per un vino dal basso tenore acido, con poco alcol (intorno ai 6 gradi), una scarsa presenza di solforosa e destinato – secondo le intenzioni della famiglia – ad un lungo affinamento in bottiglia. Una sfida quasi alle leggi di natura del moscato d’Asti. Ma anche il recupero di una tradizione antica, migliorata attraverso tecnica e conoscenze attuali. «Il 2007 è un’evoluzione incredibile. Non va in ossidazione, ma cresce la nota aromatica. È una bottiglia che regge 15 anni. La carbonica è molto delicata con un perlage appena percettibile». Ha concluso Alessandro Boido, raccontando un vino da provare senz’altro e che sorprende per delicatezza, anche se le persistenze zuccherine di tutti i vini provati lasciano sempre in bocca una sensazione da fine pasto.