Roma, Venerdì 26 novembre 2010 – Il Teatro Manhattan ha dato luce ad una lettura davvero particolare del capolavoro di Sofocle “Edipo Re”, a cura del giovane regista italiano Gabriele Cometa. Viene proposta una trasposizione scenografica del dramma ai primi dell’Ottocento, evocando l’atmosfera dellʼantica Tebe con impronta innovativa e con l’ausilio di costumi orientali, per ornare i coreuti in cerca della verità. Anche nella cultura orientale, la divinazione era un rituale diffuso per dissipare l’incertezza del futuro, interpretando i segni del presente. Le toccanti note di un violino avvolgono la piccola sala del teatro e le luci piombano su tre giovani donne al centro della scena, che impersonando i coreuti conducono lo spettatore nell’Antica Tebe del 430 a.C. I coreuti osservano Tiresia – il cieco indovino – declamare in greco antico le proprie preghiere, invocando gli dei a protezione della città devastata dalla pestilenza, poi sʼincamminano a passo lento mentre gli archi strazianti risuonano nel proscenio. La vestizione del re sul palcoscenico simboleggia l’eroe posto a nudo dai limiti della propria condizione umana. L’Edipo Re può essere in effetti un uomo dei nostri giorni alla ricerca delle proprie radici, attanagliato da mille paure e contraddizioni. È un eroe che nel riflettere su sè stesso torna uomo comune. Ma l’uomo nel tendere alla verità, tende alla virtù, eleva il proprio spirito e, torna ad essere partecipe della materia universale. “Ha rivelato Febo che qualcosa di impuro contamina la terra nostra e che di lei si pasce!” dice Creonte, di fronte alla folla implorante…E svela ad Edipo il responso del dio: per salvare Tebe è necessario scoprire ed esiliare l’uccisore di Laio, il precedente re della città.
Edipo chiede al veggente Tiresia di fargli conoscere tutta la verità, ma questi replica: “Quello che so verrà! Verrà purtroppo, ma non posso dirlo adesso. Quell’uomo che cerchi, l’uccisore di Laio, è qui tra noi, forestiero di nome, in apparenza straniero residente, e per tebano dovrà invece rivelarsi. Ma gioia il nuovo stato non gli darà, lui che dei figli suoi dovrà scoprirsi fratello e padre insieme, che della donna che lo diede alla luce figlio e sposo, e di suo padre compagno dʼamori ed uccisore insieme”. L’Edipo Re rappresenta lʼemblema dei meccanismi alla base della tragedia greca: punizione, distruzione, sublimazione. La punizione e la distruzione hanno luogo con il rovesciamento della sorte del protagonista: da eroe salvatore ad incestuoso patricida. La sciagura giunge quando si scopre che il reo è in realtà il protagonista. La sublimazione ha luogo attraverso lʼespiazione della colpa, la purificazione che esalta il volere divino e lʼineluttabilità del destino. Bravi il regista e tutti i giovani interpreti nel cimentarsi, nonostante la complessità del genere, con uno dei massimi capolavori della letteratura antica. Angelica Franci veste i panni di Tiresia con convincente mistica gestualità. Il fatto che il regista abbia scelto una fanciulla per interpretare il ruolo del cieco indovino non è casuale, è per rispettare il racconto mitologico, secondo il quale il veggente, ad espiazione delle proprie colpe, sarebbe stato tramutato in donna. Miller Voltaggio si cala con efficacia nel ruolo di Edipo, e nel suo conflitto tra l’autorità e l’incertezza. Tra scatti dʼira e fierezza propri del personaggio, incarna senza esitazione l’eroe tragico quando nel suo isolamento diviene preda dʼindefinite inquietudini. Il regista Gabriele Cometa mette in scena il senso dellʼattesa, sa dar luce alle nostre emozioni, allʼallegoria del mito, al di là di codici e simboli precostituiti. Egli gioca tra musica, costumi e scenografia per dar corpo a temi senza tempo: la sete di verità e la violenza della forza emotiva in conflitto con le proprie passioni.