Roma, lunedì 31 gennaio 2011 – Sono gli anni dell’invasione nazista in Europa e la macchina del male messa a punto da Adolf Hitler funziona a pieno regime. Nel ghetto di Cracovia una bimba polacca di origine ebraica inizia a peregrinare insieme a sua madre da un nascondiglio all’altro per sopravvivere e per sfuggire alle deportazioni nei campi di concentramento. Negli anni dell’orrore vede il padre portato via, un amichetto barbaramente ucciso e tanti altri misfatti che non riuscirà più a dimenticare.
Liberamente ispirato al libro di Roma Likocka, “La bambina dal cappotto rosso”, l’opera teatrale di Sasà Russo, il cui titolo diventa “La stella sul cappotto”, trascina gli spettatori nell’incubo della piccola protagonista, costretta ad una incessante fuga dalla barbarie nazista. Tutto si svolge in un unico atto e la messinscena non cambia mai: una cantina con polverosi scaffali, una candela per fare luce, una vecchia foto e alcune bambole. Eppure il pubblico viene trasportato da un alloggio segreto all’altro. Merito di un testo ben strutturato, della regia (efficacissimo l’uso delle luci e dell’audiovisuale), oltre che di una bella prova attoriale. Lo spettatore, infatti, “vede” attraverso i ricordi di una bambina divenuta donna troppo in fretta, che sulla scena si sdoppia tra passato e presente, attraverso l’interpretazione di Eleonora Micali e le letture di Valentina D’Amico: a scandire l’entrata in scena di quest’ultima è l’artificio del ciondolo, metafora del passaggio da una fase all’altra della vita.
Russo ripropone con successo “La stella sul cappotto”, opera frutto tra l’altro di un attento lavoro di documentazione. Il testo, rappresentato per la prima volta nel 2004, negli anni è stato messo in scena con modalità registiche diverse: prima come monologo, poi a tre e a quattro attori, fino alla doppia interpretazione dello stesso personaggio. Ma, spiega Russo, l’intenzione di fondo è sempre la stessa: non dimenticare mai gli anni della Shoah. Il regista e autore, in particolare, esprime la propria preoccupazione per il rischio che le teorie negazioniste vengano prese sul serio. Ecco, dunque, da dove nasce la sua ferma volontà di contribuire a mantenere viva la memoria del dolore e della sofferenza a cui il popolo ebraico è stato sottoposto. L’autore e regista continua così a portare avanti un discorso che esula da dinamiche di mero interesse. I suoi lavori, d’altronde, anche quelli più leggeri, presentano sempre un risvolto a carattere sociale, ma che ne “La stella sul cappotto” emergono anche come una sorta di debito morale. Anche perché, come recita Eleonora Micali, “ci avevano strappato la dignità ma dovevamo continuare ad essere persone dignitose”. L’opera è stata accolta da un lunghissimo applauso da parte di un pubblico commosso e che non vuole dimenticare affinché tutto ciò non possa ripetersi mai più.