DI MASSIMO MARCIANO
Ormai è “tana libera tutti”. La tanto attesa “fase 2” dell’emergenza Covid-19 è durata meno della classica telefonata di circostanza ai congiunti per gli auguri di Natale. Nelle città la primavera sbocciata all’improvviso ha segnato già, di fatto, l’inizio della “fase 3”. E a giudicare dalle immagini che arrivano dai tanti lungomare dei quali è costellata la penisola, lì si è addirittura affacciata la “fase 4”.
La prudenza che, come succede sempre nei momenti di paura collettiva, ha premiato il governo con il consenso popolare sta cedendo il posto alla voglia di credere che tutto sia finito. Anche se non lo è affatto. E i governi locali, pressati da una situazione che di fatto è per loro ingovernabile e stretti d’assedio dai concittadini-elettori messi in difficoltà dalla forzata chiusura per due mesi delle loro attività economiche, stringono in una morsa il governo centrale con un florilegio di ordinanze che dicono che sì, tutto sommato, si può ripartire. Con le mascherine: ovvero con quella protezione che fino a ieri, in piena ansia pandemica, per tutti era solamente poco più di una foglia di fico, incapace di tenere lontano il virus.
Dopo la Calabria, dall’altro estremo dello stivale ora è la volta dell’Alto Adige di lanciare la sfida a Roma. Il Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano ha deciso che da oggi non ci sono più i motivi di emergenza sanitaria che hanno fino a ieri consigliato di tenere chiusi negozi e attività. E da lunedì toccherà a parrucchieri, estetisti, bar, attività di ristorazione, teatri e musei. «Libertà equivale a responsabilità», ha detto il Presidente della Provincia autonoma, Arno Kompatscher, confidando nella disciplina teutonica dei propri concittadini, che dovrebbe portarli a comportamenti più responsabili di quelli denunciati un po’ ovunque, dove nel giro di pochi giorni dal via libera alla “fase 2″ parchi e piazze sono tornati a riempirsi.
La sfida sudtirolese non appare senza conseguenze: il governo intende impugnare l’ordinanza della Provincia autonoma, presa mentre le linee guida dell’Inail sulla sicurezza devono ancora vedere la luce. «E’ evidente – ha risposto alla mossa di Bolzano il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, non nascondendo l’irritazione – che il governo approva l’idea del riavvio graduale delle attività economiche, ma ritiene che l’autonomia, sempre rigorosamente rispettata, debba esercitarsi sempre nell’ambito del rispetto dei valori universali garantiti dalla Costituzione, primo fra tutti quello alla salute». Quell’autonomia che, dal canto suo, Kompatscher ha invocato di fronte alla mancata decisione di Roma di procedere ad aperture differenziate a seconda delle regioni.
A pesare sulle spalle del governo è anche la ripresa di vigore, dopo la tregua durante la fase più acuta della pandemia, delle polemiche all’interno della sua maggioranza parlamentare. Tanto che fatica ancora a vedere la luce quello che era stato ottimisticamente chiamato “decreto aprile”, atteso da settimane dai lavoratori autonomi per l’annunciato bonus-bis a copertura delle perdite economiche subite a causa dello stop al lavoro in conseguenza della pandemia. Un decreto che fatica a prendere vita perché è divenuto il contenitore delle aspettative di tutti.
In questo quadro di attesa i governi territoriali sono sempre più tentati all’azione per dare ai propri concittadini quel segnale di fiducia che le dispute romane stanno appannando. Salvo per ciò che riguarda i fronti più “caldi” dal punto di vista sanitario, come sa bene il sindaco di Milano, Beppe Sala, che in controtendenza rispetto agli altri amministratori locali ha minacciato anche la chiusura dei Navigli, dopo le immagini diffuse ieri degli affollamenti nella zona. Perché Sala è ben consapevole che “fase 2”, ben lungi dal significare la fine dell’emergenza, sta a dire solamente che si sono liberati un po’ di posti nelle terapie intensive.