«Il bene dell’informazione gode di esplicita tutela costituzionale. L’articolo 21 della Carta, nell’affermare che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, sottolinea il valore della stampa come mezzo, indicando che “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”»: con questo messaggio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato il convegno “Il giornalismo alla sfida del futuro”, organizzato in occasione del 60esimo anniversario della legge 3 febbraio 1963 numero 69, istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che si è svolto a Roma nella Biblioteca nazionale.

«L’informazione – ha continuato il capo dello Stato – è un veicolo di libertà e non è un caso che la stessa Assemblea costituente volle approvare una legge in materia di disposizioni sulla stampa, che tracciava, dopo vent’anni di bavaglio, un percorso di ritorno all’indipendenza per i media». Mattarella ha poi sottolineato la «responsabilità enorme» che hanno i giornalisti, «accentuata – ha rilevato – dalla moltiplicazione delle fonti di informazione offerta dalla rivoluzione del web. Le sfide che il mondo dell’informazione è chiamato a raccogliere, a partire dalle applicazioni della intelligenza artificiale, non possono prescindere dal rispetto dei canoni fondamentali tracciati per la professione dalla legge Gonella», ovvero la legge istitutiva dell’Ordine, chiamata così dal suo proponente: l’allora ministro di Grazia e Giustizia Guido Gonella, giornalista e docente universitario, che successivamente divenne il primo presidente dell’Ordine dei giornalisti stesso.

L’intervento di Carlo Bartoli

Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, ha sottolineato l’urgenza di una norma che tuteli i giornalisti dalle azioni giudiziarie temerarie, le cosiddette querele bavaglio: la presunzione di innocenza «è un principio sacrosanto, ma non può diventare un alibi per tacere di fatti di grande rilevanza pubblica». «L’Italia detiene un triste primato in Europa – osserva Bartoli -. Sono 22 i giornalisti che per poter lavorare sono costretti a vivere sotto scorta».

«Vediamo con preoccupazione crescere gli effetti distorsivi e il linciaggio digitale – senza difese, senza appello e senza possibilità di ottenere giustizia – che avviene sui social media e che viene amplificato da algoritmi che alimentano discredito, discriminazioni e linguaggi di odio. Siamo vittime e spettatori, tutti noi, di ondate di disinformazione e manipolazioni il cui obiettivo è distorcere la percezione della realtà a favore di poteri il cui volto è celato».

«A queste difficoltà – ha detto ancora Bartoli – si aggiunge una condizione del lavoro giornalistico sempre più frammentata, con troppa precarietà, che inevitabilmente incide sulla qualità, con colleghe e colleghi sottopagati a fronte di un  enorme impegno, spesso senza prospettive di stabilizzazione». «Occorre avere un giornalismo responsabile e al passo con i tempi, ma siamo legati ad una legge professionale dai princìpi validi, ma con tante norme obsolete e inadeguate».

La mattinata ha riservato anche un momento molto emozionante, con l’omaggio ai «31 colleghi che hanno pagato con la vita il loro impegno per raccontare verità nascoste o scomode», ha detto il presidente Bartoli. Un elenco di nomi letti da lui uno per uno, che comprende: Cosimo Cristina, Mauro de Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Giuseppe  Alfano, Mino Pecorelli, Giancarlo Siani, Carlo Casalegno, Walter Tobagi, Graziella De Palo, Italo Toni, Almerigo Grilz, Guido Puletti, Marco Luchetta, Alessandro Ota, Dario D’Angelo, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marcello Palmisano, Gabriel Gruener, Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello, Enzo Baldoni, Fabio Polenghi, Vittorio Arrigoni, Andrea Rocchelli, Simone Camilli.

Fra i temi degli interventi, anche le altre minacce alla professione, dalle querele bavaglio all’alta precarietà; la battaglia contro la disinformazione online e un nodo di grande attualità, l’uso delle intercettazioni.

«Se un giornalista pubblica una notizia riservata su un’indagine giudiziaria la colpa non è del giornalista che non va incriminato ne’ censurato – ha sottolineato il ministro della Giustizia Carlo Nordio -. La colpa è di chi consente la diffusione di queste notizie e non vigila abbastanza». La stampa libera «è una delle colonne della democrazia. Deve coniugare la sua prerogativa con il rispetto della dignità e della libertà dei cittadini».

L’intervento del ministro Carlo Nordio

«La libertà di stampa consiste nel fatto che ci siano molti giornali, di idee diverse e che il cittadino possa scegliere e formarsi un’opinione propria dopo essersi confrontato con le opinioni degli altri. Più i media traboccano di testate diverse, tanto più la stampa è libera», ha affermato tra l’altro il ministro, che alla platea si è rivolto da “ex collega”, visto che per 25 anni ha scritto editoriali e sulle terze pagine di diverse testate, attività interrotta con il suo ingresso nel governo.

Quasi una lectio magistralis la relazione di Giovanni Maria Flick, costituzionalista, ex magistrato, presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex ministro della Giustizia. Flick si è detto convinto che «le intercettazioni siano indispensabili. Sono consapevole che nessun cronista sia insensibile di fronte alla possibilità di ottenerle, sono preoccupato per il loro abuso». Sulle intercettazioni «esiste già una legge che deve essere applicata con maggiore attenzione dalla magistratura ma siamo aperti al confronto – ha spiegato il presidente dell’Ordine Bartoli – stimolando i colleghi a un vaglio più attento». E il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto propone di «scrivere insieme delle regole che oggi possano aprire un nuovo capitolo nei rapporti tra cittadino, informazione e giustizia».

L’intervento del sottosegretario Alberto Barachini

Alberto Barachini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l’Informazione e l’Editoria, è intervenuto da remoto, perché impegnato in appuntamenti istituzionali a Milano. «Credo fermamente – ha detto – che ci sia un ruolo cardine per la professione giornalistica nella democrazia. È mia convinzione quella di sostenere l’informazione: è un nostro dovere. Lo facciamo con i contributi diretti e indiretti e lo faremo con la revisione dei contratti per l’attribuzione dei servizi alle agenzie di stampa».

«Occorre un nuovo patto sociale tra istituzioni e giornalisti, editoria e mercato» ha sostenuto in un videomessaggio Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo. Ha sottolineato che essere giornalisti «non è solo un lavoro ma una vera e propria missione civile e sociale» ed ha ricordato la collaborazione avviata con la segretaria dell’Ordine dei giornalisti, Paola Spadari, sulla regolamentazione in sede europea della professione.

Ad arricchire l’incontro anche le voci di giornalisti “sul campo”, come Nello Scavo, che vive sotto scorta dopo le minacce ricevute dai trafficanti libici, che ha evidenziato il coraggio di alcuni colleghi più giovani e meno garantiti in teatri di guerra: «L’assicurazione per un giornalista in Ucraina costa circa 9mila euro a settimana: molti scelgono di rischiare». Per Andrea Luchetta, da poco tornato proprio dall’Ucraina (è figlio di Marco Luchetta, ucciso mentre era inviato in Bosnia nel 1994) «è fondamentale raccontare l’impatto della guerra sulla vita delle persone oltre che sulla società».

Infine la freelance Sara Lucaroni ha affrontato, tra i vari punti, le criticità per chi svolge la professione senza essere garantito da una testata, soprattutto quando si ricevono querele temerarie, «di fronte alle quali, molti colleghi – sottolinea – smettono di scrivere».

Di Sileno Candelaresi

Impegnato nell'associazionismo imprenditoriale, mi interesso professionalmente del settore Horeca (hotellerie, restaurant, catering).

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