Dietro la disputa, difficoltà economiche. L’Europa piange la sua inefficienza politica rimanendo schiava del potere russo. L’Italia non sfrutta le sue risorse e ne piange le conseguenze
di Andrea Aidala
aaidala@lacittametropolitana.it
Roma, giovedì 8 gennaio 2009 – La disputa Ucraina – Russia minaccia di mettere al fresco un’Europa già in difficoltà per colpa della crisi economica mondiale. È erroneo però pensare che tale scontro rappresenti il mero riproporsi delle vicende passate e che dipenda da motivazioni di tipo politico. L’uragano finanziario e la recessione mondiale hanno mosso le carte in gioco e la Russia, nonostante sia ancora supremo e incontrastato fornitore dell’Unione in fatto di Gas, rischia, se il tutto non dovesse risolversi al meglio, di crollare.
Entriamo nel dettaglio.
I due contendenti non si accordano sui prezzi: la Russia vorrebbe imporre una valutazione “di mercato” di circa 450 dollari per mille metri cubi ed il pagamento da parte di Kiev di forniture passate per miliardi di dollari, mentre l’Ucraina rifiuta proponendo una cifra di poco superiore ai 200 dollari. La Russia spinge per l’accordo immediato a causa del sicuro ribasso che il prezzo del Gas subirà nei prossimi mesi. La valutazione del metano è legata a quella dei derivati petroliferi di eguale destinazione d’uso, olio combustibile e gasolio da riscaldamento, ma con un ritardo di adeguamento di 6-9 mesi. Questo significa che il prezzo dell’oro vapore tra il prossimo aprile e il prossimo giugno conoscerà il crollo che il petrolio ha sofferto nell’ultimo periodo. Chiaro, dunque, il motivo della pressione russa su Kiev: definire al più presto intese prima che si avvicini il collasso del valore del gas sul mercato.
La politica del Cremlino non pare essere frutto di forza ma anzi di debolezza.
È vero che il Paese del presidente Yushchenko rischia la bancarotta e continua a sopravvivere solo grazie al prestito concesso dal Fondo Monetario Internazionale, ma anche la Russia viaggia in cattive acque. L’Economia moscovita sta attraversando una grave crisi: il rublo è stato nell’ultimo periodo svalutato di ben 12 punti, il prodotto interno lordo è calato seguendo pericolosamente il crollo della produzione interna e dei consumi, e poi l’esportazioni di gas si sono ridotte di circa il 20% a causa del calo vertiginoso della domanda.
Il Cremlino mostra al mondo man forte, ma sembra difficile possa battere i pugni per molto, chiudere i rubinetti e mettere apparentemente sotto scacco Ucraina e l’intera Europa. L’Unione ha bisogno del metano russo, è indiscutibile, ma tanto quanto Mosca necessita del supporto della banche europee per sostenere il suo sviluppo con nuovi capitali d’investimento. Stando così le cose, la politica ed i vecchi risentimenti sembrano non giocare un ruolo di rilievo nello scontro Ucraina – Russa: trovare una soluzione alla crisi risulta desiderabile per tutte le parti in causa e non è per niente azzardato ipotizzare che tutto si possa risolvere in fretta.
Con il blocco delle forniture, i paesi europei, e non solo questi, mettono in campo le loro scorte e cercano di ottemperare alla crisi percorrendo altre strade, Algeria e Libia. Ma intanto, Slovacchia, Bulgaria e Romania, che dipendono quasi totalmente dalla Russia per le importazioni di Gas, sono vittime dell’intenso freddo. In particolare, mentre il Governo di Bucarest dichiara lo stato d’emergenza, i cittadini bulgari trascorrono notti al freddo nell’attesa che si riesca a trovare una soluzione alla penuria di metano. Le vie alternative a quella passante per l’Ucraina, attivate da Mosca per rifornire il vecchio continente attraverso il gasdotto che passa dalla Bielorussia e quello dal Mar Nero costruito da Gazprom ed Eni, purtroppo risultano insufficienti a soddisfare il fabbisogno di un’Europa affamata di energia.
Il presidente della Commissione Ue Barroso ha alzato la voce contro i due contendenti al fine di favorirne il dialogo e far si che i metanodotti ritornino a funzionare. Un’azione dettata dalla necessità, ma che nasconde una grande inefficienza politica dei paesi europei uniti sotto un’unica bandiera. Mai in questi anni, nonostante rappresenti ormai una routine assistere alle schermaglie tra Ucraina e Russia sulla questione Gas, il Governo unito si è impegnato a mostrare un volto unico al tavolo delle contrattazioni con Mosca. Si è preferito lasciar fare ai singoli Stati che hanno provveduto ad attivare accordi bilaterali sulle forniture incrementando di molto la forza contrattuale del gigante moscovita e rendendo tutti succubi delle sue esigenze.
L’Italia, a quanto sostiene l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, considerato il calo della domanda industriale di Gas, possiede riserve sufficienti per garantire alcune settimane di autonomia da vivere in tutta tranquillità. Il nostro paese non sembra però aver imparato dalla crisi del 2006 quando le autorità si sono viste costrette a invitare al risparmio i cittadini. Nel bel paese, seppur poche, le risorse naturali che il sottosuolo offre rimangono inutilizzate. L’Eni possiede 5 pozzi di petrolio in Basilicata, di cui 4 completamente inutilizzati a causa della mancata firma della Regione per costruire oleodotti necessari per trasportare il greggio al centro oli di Viggiano. E poi c’è il gas di cui potenzialmente il sottosuolo italiano sarebbe colmo. Si troverebbe nella lunga linea di territorio che collega Cuneo a Malta, ovvero quella mezza luna che i geologi definiscono anticlinale, per niente sfruttata. Il nostro paese preferisce rimanere schiavo ed importa dalla Russia il 28% dell’intero suo fabbisogno di cui l’80% proviene dall’Ucraina.