Roma, giovedì 5 gennaio 2017 – Il traffico di Roma è causato dai romani. Per alcuni sembrerà un’affermazione ovvia, tautologica, che si morde la coda. Come si chiamano gli abitanti di Roma? Romani. Quindi chi può causare il traffico nella Capitale? Non certo i genovesi. Sono i romani. Sembra una boutade, una semplice affermazione di quelle che si usano per insegnare la grammatica, i nomi e gli aggettivi ai bambini delle elementari. Le vere cause sono altre. Sono i governi capitolini che in 30 anni non sono riusciti a dare una rete di metropolitane degne di una grande città europea. Sono le politiche della mobilità assenti. Sono la cronica, strutturale mancanza di soldi, che si accompagna ad una cronica mancanza di pianificazione. È la scelta del Governo italiano di prediligere il trasporto su gomma, piuttosto che quello su ferro. O di puntare tutto sul trasporto privato, per sorreggere l’industria privata e l’indotto della media e piccola industria che intorno a quella gira (o meglio lo faceva), per garantire posti di lavoro. Insomma il traffico è nocivo, ma non è colpa dei romani. Invece no! Proprio quello vuole dire. La causa del traffico di Roma, delle difficoltà di muoversi per Roma, è dei romani. Per almeno il 70%. Questo va detto anche per sgombrare un po’ di dubbi e per poter affrontare magari un giorno la questione e provare a risolvere l’annoso problema del traffico.

I romani e le romane sono menefreghisti. Se ne sbattono delle regole sociali. Del rispetto. Delle convenzioni e del codice della strada. Se devono comprare le sigarette, un gelato, uno sciroppo, fermano la macchina in seconda fila esattamente davanti al negozio prescelto. Anzi se potessero ci entrerebbero dentro. Perché non possono fare due passi in più. Se devono parcheggiare lo fanno sulle strisce pedonali, in curva, in seconda fila, davanti ai cassonetti dell’Ama. Non importa se hanno il Suv o la Smart. Se devono parcheggiare la mettono sui marciapiedi senza preoccuparsi dei pedoni che dovrebbero poterli utilizzare quei marciapiedi. Tutto questo crea quel gran caos giornaliero che si chiama traffico (intendo all’interno della Capitale), che costringe a stare seduti in macchina, tutti, per ore, anche quando il tratto di strada sarebbe corto e abbastanza agevole da essere percorso in pochi minuti. Provate a percorrere alle 19,30 di un qualsiasi giorno feriale il tratto di strada che va dalla Stazione Tuscolana, altezza via Assisi, fino a Cinecittà, altezza Palmiro Togliatti. Un pezzo in fondo non troppo lungo. Sono circa 4,8 km. Una strada dalle ampie carreggiate, nonostante la possibilità di parcheggiare sui lati e al centro. Insomma un percorso dritto, ampio, scorrevole, nonostante i tanti semafori che si possono incontrare sulla via. Che però in parte sono sincronizzati e quindi se si prende l’onda verde, si può tranquillamente arrivare da un punto all’altro, da via Assisi a Via Palmiro Togliatti in una decina di minuti (al massimo).

Bene in virtù della guida menefreghista dei romani e delle romane, lo stesso tratto, nel momento di punta della giornata, quando tutti escono dagli uffici e tornano a casa, può richiedere fino a 45 minuti per essere percorso. Questo in virtù della grazia tutta romana del parcheggio selvaggio, con strade ampie e scorrevoli, in alcuni casi anche con tre corsie di scorrimento, ridotte spesso ad una sola corsia. Con macchine e furgoni parcheggiati anche in terza fila in mezzo alla strada. Vetture che devono svoltare, che non segnalano le intenzioni. Con pedoni (perché anche loro sono colpevoli del mancato rispetto del codice della strada) che attraversano senza rispettare la segnaletica orizzontale (le strisce) o quella verticale (i semafori). In questo scenario da stress, sono vittime anche gli autobus pubblici, che devono fermarsi in mezzo alla carreggiata, bloccando le altre macchine, facendo scendere i viaggiatori in strada e non vicino al ciglio. A tutto questo vanno aggiunti gli scooter, che si infilano da ogni parte, da destra e da sinistra, invadono le altre carreggiate, impongono un’attenzione continua e amplificano il fenomeno caotico e anarchico del traffico. Poi bisogna aggiungere coloro che vogliono parcheggiare, che si piazzano in mezzo e rallentano lo scorrimento dei veicoli senza troppo badare agli altri.

Senza dimenticare gli incroci, dove nelle ore di traffico e di punta il romano tende a dare il meglio di sé, piazzandosi in mezzo alla strada anche se questa è bloccata da una lunga fila e il proprio semaforo sta per diventare rosso. È chiaro fin da subito che in questo modo non si lascerà spazio al momento del verde per chi viene da destra o da sinistra. Tutto questo solo per conquistare quei pochi centimetri che lo porteranno a raggiungere l’agognata meta, ossia il superamento dell’incrocio, qualche istante prima. Ecco quindi file di macchine ferme in mezzo alla strada ad impedire lo scorrimento delle altre corsie al momento del verde. Un evento che sarà restituito naturalmente dagli altri automobilisti, ai quali è stato precluso il diritto a passare e che quindi replicheranno il comportamento un po’ per punizione, un po’ per necessità, un po’ per riprendersi quello che gli è stato sottratto.

Il fatto è che il romano, o la romana, non poteva fermarsi al momento del giallo, ordinatamente, nella propria corsia, lasciando pure scattare il rosso, ma evitando di intasare il centro dell’incrocio già bloccato da altre macchine ferme. Proprio no! Sentiva invece l’impellente bisogno di mettersi in mezzo alla strada per passare comunque, non appena la fila avrebbe ripreso il suo cammino. Incurante in questo se per raggiungere la propria meta bisognasse recare fastidio agli altri. I romani e le romane sono menefreghisti e se ne sbattono delle regole del codice della strada. Sono anarchici non per credo, ma per pigrizia mentale ed egoismo. È più facile parcheggiare in terza fila che provare a cercare un posto, magari a 50 metri di distanza, che non dia fastidio al prossimo. È più facile ignorare la persona che aspetta paziente sulle strisce pedonali, che fermarsi educatamente come fanno nei paesi civili. È più facile pensare a se stessi, ai propri bisogni, che rendersi conto che vivere in società richiede il rispetto di una serie di regole comuni, che facilitano quello stesso vivere insieme.

Così facendo, i romani non si rendono conto che danneggiano se stessi insieme agli altri. Che il grande stress, il tempo perso e i costi sociali che il traffico causa (anche solo pensando allo spreco di benzina), ricadono su loro stessi. Anzi su noi stessi. Perché alla fine l’unico modo per sopravvivere ad un traffico anarchico, menefreghista e poco rispettoso delle regole comuni, è quello di comportarsi nella stessa esatta maniera.

Di Stefania Basile

Sono nata nel 1977 all'estremità meridionale della Calabria tirrenica, nella città di Palmi, che si affaccia sullo stretto di Messina e sulle splendide isole Eolie. Amo le mie origini e Roma, la città dove vivo per motivi professionali. Come diceva la grande Mia Martini: «il carattere dei calabresi a me piace moltissimo. Possiamo sembrare testardi, un po' duri, troppo decisi. In realtà siamo delle rocce, abbiamo una grande voglia di lavorare e di vivere. Io non sono di origine, io sono proprio calabrese!».

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