Roma, domenica 6 gennaio 2013 – Debutta al Teatro Vascello di Roma il prossimo 8 gennaio lo spettacolo Wordstar(s), scritto da Vitaliano Trevisan per la regia di Giuseppe Marini, con due mostri sacri della prosa italiana come Ugo Pagliai e Paola Gassman, in scena sostenuti da Paola di Meglio e Alessandro Albertin. Qualcuno poco abituato al “crossover” potrebbe anche snobbare il progetto per l’ingombrante presenza di due interpreti di formazione classica. Ma il Vascello non a caso si definisce teatro stabile di innovazione, volendo fare di questa sua dichiarazione di intenti una qualità permanente nel panorama teatrale romano. E infatti il progetto presenta molti pregi. Intanto la scelta dell’autore, tra i più interessanti della sua generazione. Vitaliano Trevisan non è certo uno scrittore (e attore) tradizionale. E la sua ricerca espressiva e tematica non è di facile assimilazione. Richiede uno sforzo di comprensione, come per il miglior teatro contemporaneo, perché il simbolo pur presente nella sua ricerca non è dichiarato, mentre sembra prevalere il tratto realistico. È vero piuttosto che realismo e simbolismo in lui non sono due facce della stessa medaglia, ma si distendono su di un’unica faccia. Si compenetrano a fondo e si fondono e si diluiscono uno nell’altro, come in un “tao” estremizzato.
In secondo luogo per il testo teatrale, che presenta uno degli autori più sperimentali e difficili del Novecento europeo. Samuel Beckett. In scena come personaggio reale, ma anche come fonte di ispirazione ideale. Il lavoro di Trevisan lavora sulla scrittura. È una meditazione sulla scrittura. E a ribadire questa centralità tematica è soprattutto il titolo. “Wordstar” non è altro che un linguaggio del computer, un programma di videoscrittura, peraltro ormai obsoleto. E quale altro scrittore se non Samuel Beckett, che ha dedicato l’intera esistenza alla irriducibile ossessione per il linguaggio e che ha spinto il teatro al limite delle sue possibilità espressive, portandole al collasso per usura, poteva essere rappresentato da Trevisan. Tenendosi al riparo dalla cronistoria o dalla biografia teatralizzata, Wordstar(s) narra con libertà immaginativa, gli ultimi giorni di vita del grande scrittore, colto nella sua quotidianità comica e scandalosa. La vertigine del pensiero e il tormento creativo dell’artista si coniugano con la tragicomica goffaggine dell’uomo, in mutande (anche sul palco), e di un corpo, cervello compreso, che va in malora e che impedisce le più elementari attività quotidiane. Al flusso monologante del protagonista fanno da contrappunto le figure femminili di Suzanne e di Billie (la moglie e l’amante), entrambe morte prima di lui e che sul palco sembrano due creature beckettiane.
Per il regista Giuseppe Marini “Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan è un testo importante, un classico a suo modo. In primo luogo per la sua qualità meta-testuale e meta-drammatrica, capace di fare del medium usato il proprio tema e la propria narrazione. Il linguaggio e la scrittura diventano materiale del racconto, la forma diventa sostanza narrativa”. Inoltre gioca un ruolo di assoluta centralità nel lavoro la bravura di Pagliai, e con lui di tutto il cast, pronto a mettersi in discussione e a fare un salto nel buio nel poco rasserenante teatro contemporaneo. “Fare Beckett per Pagliai non era uno scherzo”, conclude Marini. E farlo su di un testo di Vitaliano Trevisan ancora meno.