Roma, martedì 25 gennaio 2011 – Tutto qui? È questa dunque la reprimenda della Cei ai ripetuti e insistiti scandali a luci rosse in cui è coinvolto il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi? Di fronte alla ipotesi di concussione e di induzione alla prostituzione di minori, il cardinale Angelo Bagnasco si è lasciato andare ad una prolusione retorica, poco significativa sul piano della comunicazione e quindi dei contenuti, se l’intento era di sanzionare i comportamenti del Presidente del Consiglio. Così come avevano fatto in precedenza il Segretario di Stato Bertone e il Pontefice. «La collettività guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale». Per questo «occorre fare chiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate». Anche perché «chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda». Questi i passaggi più densi del Presidente della Cei, nel discorso pronunciato ad Ancona in occasione del Consiglio Episcopale Permanente, il quale nell’intervento non cita mai in modo diretto il Caso Ruby e le vicende che agitano in queste ore la politica italiana e che vedono contrapposti da una parte la Procura di Milano e dall’altra Silvio Berlusconi.
Non è una presa di distanza da quella che sembra essere una vita privata dissoluta, che coinvolge tante giovani ragazze in cerca di soldi e carriera facile. Anzi è equidistante, perché nella prolusione Bagnasco ha inserito un passaggio («…mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine»), che pare essere rivolto proprio ai giudici di Milano, e che ha già dato modo di essere strumentalizzato da esponenti di Governo. Eppure è proprio dall’ingente mole di indagini che emergono dati imbarazzanti, come quello che riguarda le protagoniste femminili dei party, spesso incoraggiate dalle stesse famiglie di origine, che nella donazione al drago (tanto per citare Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi) vedono un modo semplice e veloce di riscatto sociale. Eludendo con il proprio corpo quei problemi che investono tante giovani donne italiane. Una recente radiografia sul mondo del lavoro ha attestato che una donna su due in Italia è senza lavoro. La disoccupazione giovanile è al 28,9%. La crisi ha falcidiato il potere d’acquisto delle famiglie e anche la possibilità di sostenere gli ulteriori studi dopo la laurea, con master e corsi di perfezionamento, che in genere servono a portare allo stesso livello di preparazione dei coetanei europei, dando più chance sul mercato del lavoro.
In uno scenario così complesso per l’Italia, il Presidente del Consiglio, anziché passare le nottate insonni a trovare soluzioni per il Paese, alimenta tra i giovani il disincanto con il mito del denaro facile solo per coloro che sono più disinibite e compiacenti. Niente meritocrazia, totale assenza di valori civici e anche cattolici, niente capacità personali, se non quelle legate alla fortuna di possedere un corpo desiderabile e di utilizzarlo. Solo bellezza, nudità e disponibilità. Non a caso di “sultanato” parlava nel 2009 il politologo Giovanni Sartori. Di “mignottocrazia” Paolo Guzzanti in questi giorni. Che il sistema messo in piedi per recare sollievo alle notti del Capo non fosse frutto di un’organizzazione occasionale, ma al contrario ben rodata, emerge dalle carte del Pool di Milano (grazie alla indagini approfondite, o ingenti se si vuole). Questo conferma un preciso atteggiamento: una volontà manifesta di perseguire un certo disegno, “scellerato” per la morale pubblica e per quella costituzionale, ma che – proprio perché ha i requisiti del sistema – già inquina e si diffonde nelle menti e nei comportamenti delle persone per contiguità. Il cardinale Bagnasco allora lancia strali senza punte. Quando afferma che tale atteggiamento “potrebbe lasciare nell’animo collettivo segni anche profondi, se non vere e proprie ferite”, e che “il rischio è che taluni sottili veleni si insinuino nelle psicologie come nelle relazioni, e in tal modo, Dio non voglia, si affermino modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi”, il Presidente della Cei mostra quanto sia nullo il suo dire.
Quello che paventa l’alto prelato è già accaduto. Accade dal 2009, da quando è esploso il caso Noemi. Da quando lo ha denunciato Veronica Lario. Che senso ha dunque affermare in via generale principi e regole, che vengono elusi da tempo. È un dire senza effetto. Neutro. Se si vuole anche poco comprensibile in questo suo travestimento retorico. È un dire che non incorpora un vero sentimento di sdegno, perché viene pronunciato in tono atono, leggendo un documento, senza mai guardare la telecamera. Contravvenendo così alle basilari regole della comunicazione mediatica. A chi si rivolge quella lettura? Il Presidente del Consiglio fra un paio di giorni potrà sempre dire che quelle parole non sono rivolte a lui. Che non lo riguardano. Facendosi beffa una volta di più del Vaticano. Senza tra l’altro che alcuna smentita sopraggiunga dal Vaticano stesso. La pessima figura internazionale dell’Italia investe anche il Vaticano, incapace di dire una parola ferma e definitiva, per il desiderio di trarre vantaggi politici dalle debolezze del Presidente del Consiglio. La Chiesa, dicono i prelati, non fa politica attiva. Il suo magistero è quello di divulgare il messaggio cristiano in tutto il mondo. Solo che riesce difficile credere che sia portatrice di un messaggio ecumenico e cattolico, quando non riesce a far impregnare di questo messaggio nemmeno il Paese che la ospita da due millenni.