Nella selva delle infinite realtà delle chat e del social network vince il più cattivo, ma non sempre. Il Telefono Azzurro invita alla riflessione sul modo di comunicare preferito dai giovani
di Serafina Cascitelli
redazione@lacittametropolitana.it
Roma, mercoledì 17 febbraio 2009 – Un caso concreto: una 13enne costretta a spogliarsi e filmarsi in cam da un apparente coetaneo per due anni. Tutto iniziò quando lei gli inviò spontaneamente dei filmati, usati per ricattarla. Lui la voleva vedere per davvero. Lei si è confidata con delle sue amiche che paradossalmente si sono comportate con lei da teppistelle, il bullismo femminile è feroce. L’apparente coetaneo era in realtà un adulto. Questa incredibile storia l’ha raccontata Luigi Mancuso, comandante della IV sezione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Roma all’incontro organizzato dal Telefono Azzurro per invitare ad una profonda riflessione la società e le istituzioni, i genitori e le aziende nella Giornata europea per la sicurezza in internet. Nella storia raccontata emergono due fenomeni: il child grooming, cioè l’adescamento da parte dell’adulto in modo subdolo, fingendosi ad esempio un coetaneo, per abbassare le difese del minore e il cyber-bullying cui in realtà non fu data inizialmente molta importanza, considerando il bullismo un’azione preminentemente fisica, ma nel web un’offesa verso qualcuno che si vuole emarginare viene vista da migliaia di utenti, non solo dal branco che spalleggia il leader o da qualcuno che per paura o indifferenza fa finta di nulla.
Questa vicenda potrebbe diventare l’epilogo dei pomeriggi passati da soli davanti al pc del 33,1% dei bambini italiani della fascia 7-11 anni o del 69,4% degli adolescenti tra 12 e 19 anni che chattano regolarmente. Il Presidente del Telefono Azzurro Ernesto Caffo avverte che il fenomeno internet è in crescita e notevoli sono le differenze con i dati del 2005. Preoccupa molto anche che il bambino non sia più “solo” un recipiente di ciò che legge o una vittima, ma sia egli stesso autore di azioni sbagliate per ripicca o gelosia: il 13% ammette di aver diffuso informazioni false sui coetanei e l’11% ha infastidito via web un altro ragazzo. «Mancano ancora delle risposte adeguate – continua il Presidente Caffo – per sanzionare certi atteggiamenti» e punta molto ai genitori, alla scuola e all’aspetto normativo. D’accordo all’unanimità gli ospiti presenti sulla questione del gap tecnologico generazionale. Infatti un genitore non riesce a rivedersi facilmente in questo mondo privo di barriere verticali, quando lui da piccolino era abituato che «i libri proibiti erano riposti nello scaffale in alto» ricorda la giornalista Anna Lombroso e così l’adulto, non entrando in sintonia, non riesce ad individuare né a gestire il pericolo.
Per il controllo a tappeto è il Vicepresidente della Commissione parlamentare dell’Infanzia, Gabriella Carlucci, che illustra software che permettono al genitore di poter leggere in differita tutto il botta e risposta del messenger del proprio figlio o i suoi sms, tempi duri si prospettano per chi vuole solamente marinare la scuola. Plaude al suo intervento il luminare Giovanni Bollea, contrario già molti anni ad internet. Ancora una volta l’azione di protezione è paradossalmente la limitazione netta e la possibilità di privacy zero dell’adolescente; sembra una sconfitta, come se davvero gli adulti, troppo lontani dalla concezione di una chiacchierata virtuale, non sapessero fare altro che stringere la morsa attorno al bambino piuttosto che l’orco. Infatti l’opinione pubblica parla e condanna, ma in Italia il child grooming non è ancora considerato reato.