Sul palco dell’AccentoTeatro di Roma dal 19 al 22 marzo, Rossella Petrucci ed Emanuela Vittori danno grande prova di recitazione ne “Le sorelle Papin”, tratto da Genet, dove realtà e fantasia si mettono al servizio del dramma.

di Emiliano Sinopoli
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Roma, giovedì 19 marzo 2009 – La trama trae spunto da un fatto di cronaca avvenuto in Francia negli Anni 30. Le sorelle Papin, due domestiche in servizio presso una facoltosa famiglia borghese, uccisero la padrona di casa e sua figlia. L’autore, Genet, decise di scrivere un testo in cui due sorelle, appunto, nell’ambivalenza di amore/odio verso la loro padrona Madame, decidono di ucciderla. In una sorta di visionario percorso verbale lo spettatore viene trasportato dalle due protagoniste nel loro mondo, angusto e solitario, immaginario e incattivito dall’invidia dei subalterni.

La pièce, ideata e diretta da Emanuela Dessy, si svolge in un atto unico di circa 1 ora;  contrappuntata da brani musicali di Erik Satie, è stata incastonata in una istallazione artistica della pittrice Paola Bongarzoni, che in un suo “sogno” in bianco e nero ha sposato la vicenda con i suoi corpi di donne riflesse e frammentate, sovrapposte, doppie, triple, inquietanti, malinconiche; donne alla ricerca di un io perduto nello spazio e nel tempo. La più grande, Christine, era affetta da patologia schizofrenica, mentre la più giovane, Lea, già con un pesante disturbo di personalità, si ammalò successivamente dello stesso problema della maggiore. Ovviamente senza alcuna consapevolezza da parte di entrambe. Nel tempo il tutto si canalizzò in un disturbo delirante paranoico, che sfociò in un atto di “follia a due”.

Si alzano le luci e compare in alto una donna contornata da una aureola: è Madame.  E’ lei la donna che entra ed esce dall’immaginario infelice delle due serve-sorelle. In un fantasioso e perverso gioco delle parti, le due entrano ed escono dalle fattezze della padrona, in sua assenza indossano i suoi abiti, assumono le sue pose, compiono gli stessi atti. Arrivano persino ad inviare lettere anonime e di minaccia alla donna, così da far mandare in carcere il suo presunto amante. Una vera e propria “vendetta”, quella perpetrata della due serve, nei confronti di una donna che ai loro occhi possiede tutto ciò che a loro manca: giovinezza, bellezza, ricchezza. Una sorta di incubo mentale che porterà le due protagoniste a focalizzare come causa della loro infelicità questa donna. L’infelicità diventa dramma senza attimi di consapevolezza, nell’incalzare affannoso della follia di chi sta nel dolore. Così come anche i drammatici eventi di cronaca di oggi ce lo ricordano. Ancora una volta il teatro non è lontano dalla realtà. Anzi forse è la sua espressione più profonda.

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