Roma, giovedì 31 maggio 2018 – La dieta del digiuno intermittente accresce il rischio di contrarre il diabete di tipo 2 e di aumentare la propria massa grassa. Ad accertarlo è un nuovo studio presentato al congresso annuale della Società Europea di Endocrinologia tenutosi a Barcellona dal 19 al 22 maggio. I ricercatori dell’Università di San Paolo del Brasile, coordinati dalla dottoressa Ana Cláudia Munhoz Bonassa, hanno studiato per tre mesi dei roditori adulti sani, sottoposti a questo tipo di regime alimentare. Durante questo periodo hanno monitorato i livelli dell’insulina, il loro peso corporeo e i radicali liberi.
Dopo circa novanta giorni, i ratti avevano perso peso, come previsto, ma la distribuzione del grasso del loro corpo era cambiata in modo inatteso: il tessuto adiposo addominale è aumentato e, come noto, questo è connesso a un elevato incremento del rischio di diabete di tipo 2. “Questo studio sperimentale ha dimostrato come il digiuno intermittente – commenta Giorgio Sesti, past president della Società Italiana di Diabetologia (SID) e ordinario di Medicina interna all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro – determina un aumento dei radicali liberi, indici di stress ossidativo, un danno delle cellule beta del pancreas che producono insulina, un aumento del grasso viscerale e un aumento dell’insulino-resistenza. Tutte queste alterazioni metaboliche hanno aumentato l’incidenza di diabete negli animali che vi sono stati sottoposti”. Questi risultati, aggiunge, “chiariscono in maniera inequivocabile come diete che mettono sotto eccessivo stress il nostro organismo non sono adatte per perdere peso in modo sicuro e soprattutto duraturo”.
Lo studio dei ricercatori brasiliani sembrerebbe quindi andare in controtendenza rispetto a quanto affermato solo pochi mesi fa da altri scienziati del settore. Di recente era stato Mark Mattson, capo del laboratorio di neuroscienze del National Institute of Aging e professore presso la J. Hopkins University, a tessere le lodi dei benefici derivanti dal metodo del digiuno intermittente. La chiave, come si legge nelle parole di Mattson, pubblicate da Scientfic American e dal Business Insider, risiederebbe nei livelli più elevati della proteina Bdnf (fattore neurotrofico cerebrale) rilevati nei topi sottoposti a questa dieta. Questa proteina protegge i neuroni dal decadimento, con un conseguente calo drastico del rischio di ictus e patologie cerebrali. Sarebbero inoltre agevolate, afferma Mattson, la formazione di sinapsi e la capacità mnemonica.
Andrea De Luca