La beat generation è un lontano ricordo e i suoi protagonisti sono diventati grandi: Lou Reed e i Velvet Underground si ritrovano a New York per presentare il libro che celebra il quarantacinquesimo anniversario della nascita del gruppo
di Anna Schiano
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Roma, sabato 27 marzo 2010 – Lo scorso dicembre è uscito il volume edito da Rizzoli “The Velvet Underground: a New York Art”, trecento pagine che raccolgono foto, racconti, interviste a cura dello storico gruppo che ha segnato il mondo del rock. Poco dopo si unirono al fondatore e al polistrumentista John Cale, Sterling Morrison alla chitarra e una timorata Moe Tucker alla batteria. Andy Warhol li notò e li introdusse nella sua Factory. Produsse il loro primo album a patto che con loro cantasse la modella tedesca Nico. “The Velvet Underground e Nico” uscì nel 1967 e “Sunday Morning”, “I’ll be your mirror”(che Lou dedicò al suo primo amore) furono acclamati dal pubblico, anche se canzoni come “Heroin” e “I’m waiting for the Man” lasciarono a bocca aperta i critici per il sound distorto e i testi che trattavano temi scioccanti per la morale puritana di quegli anni. “I VU odiavano gli hippy. Noi tutti odiavamo gli hippy. Eravamo l’opposto. Noi ci vestivamo di nero, loro a colori. Loro credevano nell’amore, noi nel sadomasochismo. Loro prendevano acidi. Noi anfetamine. Loro non leggevano, noi eravamo piuttosto istruiti”. Queste le parole di Mary Woronov, musa della Factory.
Se solo si pensa alla storia del leader della band, non si può non credere a queste parole. Nato da una famiglia di origine ebrea, Lou fu mandato dai suoi genitori in una clinica psichiatrica per curare gli atteggiamenti troppo “effeminati”. Fu sottoposto ad elettroshock e l’esperienza fu traumatica a tal punto che nel 1974, quando i VU si erano sciolti, nell’album “Sally can’t dance” pubblicò “Kill your sons”, un brano dedicato ai genitori, in cui esprime il trauma vissuto in quel periodo e tutti i segni che non avrebbe cancellato. La storia di questo artista è proseguita negli anni fra alti e bassi, tra album bocciati dalla critica come “Metal Machine Music” del 1975, “Mistrial” del 1986 e fruttuose collaborazioni come quella con David Bowie (un fan della prima ora dei VU), che ha portato alla realizzazione di”Transformer” (1972) e “Berlin” (1973, Premio Edison). Tra i lavori più recenti “The Raven” (2003), rivisitazione in chiave rock dei racconti e della vita di Edgar Allan Poe, e l’ultimo “The Creation Of The Universe”(2009), un ritorno alle origini per sperimentazione sonora con l’elettronica, insieme al sassofonista Ulrick Krieger e Sarth Calhoun, con i quali ha creato i Metal Machine Trio.