Una tassa creata per colpire gli extra-profitti dei potenti e sostenere con i proventi le famiglie in difficoltà, in realtà rivelatasi di dubbia utilità se non controproducente

 

 

di Andrea Aidala
aaidala@lacittametropolitana.it

Roma, domenica 25 gennaio 2009 – Dopo parecchi mesi di silenzio, la cosiddetta  Robin Tax ritorna a far discutere. Il provvedimento straordinario messo in campo dal Governo Berlusconi per colpire gli extra-profitti di aziende petrolifere, banche, assicurazioni e cooperative, ha catturato anche l’attenzione della Corte dei Conti. Questa in una recente sentenza ha denunciato il “concreto rischio”, da molti paventato già nell’agosto scorso, che l’incremento del gettito fiscale derivato dall’applicazione della Robin Tax potrebbe appesantire le tasche dei consumatori costretti a pagare maggiormente il prodotto finito. In effetti il pericolo che le grandi compagnie petrolifere, come anche le banche e le assicurazioni, riversino l’aggravio delle imposte sul prezzo al consumo dei rispettivi prodotti, aggirando i vincoli meramente formali imposti dal decreto di divieto di traslazione, è reale.

Nel settore energetico, in particolare, le implicazioni che un’imposta di tale entità possa generare nel nostro paese potrebbero essere allarmanti. In Italia l’azienda che, fino ad oggi, più ha dovuto fare i conti con l’incremento dell’imposta Ires dal 27 al 33% è stata l’Eni, un ente in cui lo Stato rappresenta il maggior azionista. Le altre compagnie attive nella raffinazione e nella distribuzione, operanti nel nostro paese, non hanno fatto registrare incrementi di profitto così tanto elevati come quelli dell’ex Ente Nazionale Idrocarburi nonostante il volo del prezzo del greggio nei passati mesi. Gli utili della grande azienda dell’energia italiana nel solo 2007 erano pari a 6,7 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi sono stati versati nelle casse statali come dividendo. Con l’approvazione della Robin Tax, nessun problema pare essere apparso agli occhi dell’erario che si è visto semplicemente trasformare i dividendi, che fino a quel momento riscuoteva, in gettito fiscale. Ma lo stesso non è stato per tutti: il consecutivo ridursi degli utili ha danneggiato gli altri azionisti, grandi investitori e piccoli risparmiatori. Questo potrebbe generare, o forse sta già generando, una progressiva riduzione del valore in borsa dei titoli Eni, e non solo, e la conseguente deflazione dei profitti.
Ad aggravare il tutto concorrerebbe il mancato avvio di alcun tentativo di liberalizzazione del mercato energetico, tra l’altro promesso dal Ministro Scajola. Il mercato dell’energia, proprio per la sua essenza prettamente oligopolistica, potrebbe spingere, in ultima analisi, le grandi compagnie a scaricare i maggiori oneri fiscali sulla distribuzione, e c’è già chi, tra le fila del Partito democratico, ha denunciato il verificarsi di tale fenomeno raccogliendo l’allerta lanciata dalla Corte dei Conti.

Il ministro dell'Economia, Giulio TremontiIl provvedimento nato nel giugno scorso, quando niente pareva poter arrestare la corsa al rialzo del prezzo del greggio, avrebbe dovuto garantire un incremento delle entrate 2008 per lo Stato pari a quasi 3 miliardi di euro. Denaro che sarebbe servito, nelle dichiarate intenzioni del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a finanziare aiuti alle sempre più numerose famiglie italiane disagiate ed agli anziani che faticano ad arrivare a fine mese. Poi, però,  si è abbattuto l’uragano Lehman Brothers a cui è sopraggiunta la crisi dell’economia mondiale reale e, quindi, la recessione globale, che hanno sbaragliato gli introiti delle compagnie petrolifere, ucciso alcune banche, gettato sul lastrico tante altre. La Robin Tax, freccia nell’arco del Governo Tricolore, si è così rivelata vana togliendo denaro alle aziende, istituti di credito e cooperative per poi restituirlo con gli interessi al fine di sostenerli per scongiurare rischi di fallimento.

Sarebbe stato più utile, ma di certo più complesso, avviare un vero e proprio procedimento di liberalizzazione del mercato dell’energia e alleggerire il carico accise sui prezzi al consumo di benzina e gasolio, interagire con banche e assicurazioni per fare del sistema creditizio e di deposito un sistema più efficiente e, soprattutto, più trasparente garantendo così un futuro più sereno a tutti i cittadini italiani.  È opinione sempre più diffusa: solo serie riforme strutturali e non interventi “una tantum” sono in grado di garantire il sicuro progredire di una economia schiava dell’immobilismo burocratico, di una organizzazione scolastica desueta ed infrastrutture precarie e carenti, l’origine del nostro arrancare.