Roma, giovedì 20 settembre 2018 – E’ deprimente constatare come il nostro Paese abbia al governo una classe politica che non conosce, o non vuole ricordare, le leggi. Ed è preoccupante che un esponente del governo si mostri sprezzante nei confronti del valore costituzionale di garanzia della coscienza critica dei cittadini, garantito dal ruolo di mediazione dell’informazione, senza la quale esisterebbe solo la propaganda di chi ha più mezzi economici, o occupa posizioni di potere, per farsi sentire dall’opinione pubblica.
Il fatto che il sottosegretario all’editoria Vito Crimi abbia detto questa mattina in Commissione Cultura alla Camera, durante il question time, che «l’essere giornalista di per sé non è garanzia di esenzione dalla possibilità di veicolare fake news», un fenomeno che per lui sarebbe «comune a carta stampata e rete», come prima cosa sta a significare che una persona che riveste un ruolo così delicato come il suo non conosce, oppure omette volutamente di ricordare, quanto riporta l’articolo 2 della Legge n. 69 del 1963 (“Ordinamento della professione di giornalista”), secondo il quale è dovere del giornalista il «rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede».
Questa norma pone il giornalista, vista la responsabilità del suo ruolo, in una situazione giuridicamente, oltre che eticamente, più grave rispetto al singolo cittadino. Mentre quest’ultimo può essere perseguito solo per violazioni di legge rispetto al dovere di tutela dell’onore e del decoro altrui, il giornalista può essere chiamato anche a rispondere in sede disciplinare della violazione del dovere deontologico sancito dalla legge. Ciò a maggiore garanzia del popolo, a cui secondo la Costituzione appartiene la sovranità, per esercitare la quale occorre che ogni persona venga correttamente informata da una stampa libera e deontologicamente responsabile.
Ma c’è altro di più grave che traspare dalle parole del sottosegretario all’editoria, che tra l’altro dovrebbe occuparsi per delega istituzionale di fornire alla stampa gli strumenti di legge e finanziari per essere indipendente e non, invece, della professione giornalistica, per la quale è competente il ministro della Giustizia. Ed è il tentativo di accomunare chi esercita in maniera professionale e garantita deontologicamente la responsabilità dell’informazione a chi si diletta a frequentare la Rete, che da strumento di libertà è divenuta giungla deregolamentata, nelle mani di spesso oscure dinamiche di manipolazione dell’opinione pubblica, grazie a società tecnologicamente ben preparate e riccamente finanziate.
E’ chiaro il disegno: togliere ai cittadini l’unico strumento che garantisce loro di ricevere un’informazione veritiera e la libertà di critica, declinata secondo il più ampio spettro delle opinioni e delle idealità. C’è chi vorrebbe informare l’opinione pubblica solo attraverso quelle oscure dinamiche di manipolazione della «verità sostanziale dei fatti» di cui chi gestisce la diffusione virale di fake news non può essere chiamato a rispondere eticamente.
Sulla questione sono opportunamente intervenuti il segretario generale, Raffaele Lorusso, e il presidente, Giuseppe Giulietti, della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), il sindacato unitario dei giornalisti italiani. «Un conto è discutere di riforme, un altro – hanno chiarito in una nota – avviare una resa dei conti con il mondo dell’informazione. I toni con cui gli esponenti del governo parlano di interventi nel settore sono quelli tipici di chi non vuole affrontare i problemi, ma sogna soltanto una resa dei conti con i giornalisti e i loro editori. Se il sottosegretario all’editoria Vito Crimi abbandonasse i toni da crociata e volesse avviare un confronto su un processo di riforma complessiva del sistema, peraltro necessario, troverebbe interlocutori pronti al dialogo e a fornire un contributo di idee e proposte. Dalle sue dichiarazioni si ricava invece la chiara volontà di indebolire l’informazione professionale e di colpire i giornalisti per renderli più docili e meno liberi. L’assenza di provvedimenti per contrastare querele bavaglio e cancellare le norme che consentono lo sfruttamento del lavoro giornalistico e favoriscono il precariato ne è la dimostrazione».