Da questa mattina alle 7 ora locale, le 6 in Italia, migliaia di persone palestinesi hanno iniziato a tornare verso le loro case nel nord della Striscia di Gaza, attraversando il cosiddetto “corridoio di Netzarim”, la linea che divide il nord dal resto del territorio. Questo rientro avviene dopo mesi di sfollamento e secondo i termini del cessate il fuoco siglato tra Israele e Hamas, che ha recentemente posto fine a 15 mesi di conflitto.
Il ritorno era inizialmente previsto per il fine settimana, ma è stato ritardato a causa di un problema tra le due parti. Sabato, Hamas aveva liberato quattro donne israeliane tenute in ostaggio, tutte soldate, e in cambio Israele aveva rilasciato 200 prigionieri palestinesi. Tuttavia, secondo Israele, questa azione violava gli accordi, che prevedevano il rilascio prioritario delle donne civili prima di quelle militari. Arbel Yehud, una donna civile ancora in ostaggio, sarebbe dovuta essere liberata prima delle soldate. Come ritorsione, Israele aveva bloccato l’apertura del corridoio di Netzarim, rendendo impossibile il ritorno dei palestinesi.
Grazie all’intervento dei negoziatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti, è stata trovata una soluzione che prevede il rilascio di Yehud insieme ad altri due ostaggi giovedì prossimo, come gesto aggiuntivo rispetto a quanto inizialmente stabilito. Questo rilascio si aggiungerà a quello già programmato per sabato, giorno in cui avvengono gli scambi di ostaggi e prigionieri nell’ambito della prima fase del cessate il fuoco. Con questo compromesso, oggi Israele ha consentito il ritorno dei palestinesi al nord della Striscia.
Nelle prime ore del mattino, migliaia di persone hanno attraversato a piedi il corridoio, mentre i veicoli motorizzati sono stati autorizzati a passare successivamente, attraverso un ingresso differente. Le immagini diffuse sui social media hanno mostrato un flusso costante di famiglie che si dirigevano verso il nord, percorrendo strade sabbiose delimitate da macerie e devastazione.
Per giorni, molti sfollati si erano radunati nei pressi della linea di divisione, aspettando il permesso di tornare. La situazione era diventata tesa, con episodi in cui i soldati israeliani avevano sparato colpi in aria per disperdere la folla. Alcuni palestinesi avevano già subito più di uno sfollamento durante il conflitto, costretti a lasciare ripetutamente le proprie case a causa dei combattimenti o per ordine dell’esercito israeliano. Molti di coloro che sono rientrati hanno trovato solo macerie al posto delle loro abitazioni.
Israele ha annunciato che giovedì saranno rilasciati, oltre a Yehud, anche la soldatessa Agam Berger e un altro ostaggio. Secondo gli accordi, il rilascio di Yehud, in quanto civile, comporterà la liberazione di 30 donne o minori palestinesi detenuti, mentre per Berger, essendo una soldatessa, verranno liberati 50 prigionieri legati a questioni di sicurezza. Israele ha anche confermato di aver ricevuto da Hamas una lista completa degli ostaggi ancora da rilasciare, comprensiva delle loro condizioni di salute e dello stato in cui si trovano, vivi o deceduti.
L’accordo per il cessate il fuoco, entrato in vigore lo scorso 19 gennaio, prevede una tregua iniziale di 42 giorni e uno scambio progressivo di ostaggi e prigionieri. Questa prima fase dovrebbe portare al rilascio di 33 ostaggi israeliani e di quasi 2.000 prigionieri palestinesi. Le fasi successive, ancora da negoziare, mirano a porre fine definitivamente al conflitto. Tuttavia, la situazione rimane fragile. Domenica, due persone sono state uccise e altre nove ferite quando l’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro una folla di palestinesi radunati presso un checkpoint nella Striscia di Gaza. Israele ha giustificato l’azione sostenendo che alcune persone rappresentavano una minaccia per i soldati.
A complicare ulteriormente il contesto, il presidente statunitense Donald Trump domenica ha suggerito il trasferimento di gran parte della popolazione di Gaza (a sua detta circa 1 milione e mezzo di persone) in Egitto o in Giordania per consentire di ripulire il territorio devastato dal conflitto. Per lui potrebbe trattarsi di una soluzione sia a breve sia a lungo termine. Tuttavia, la proposta è stata respinta con forza dai governi egiziano e giordano e dai rappresentanti palestinesi, che temono che Israele possa impedire un eventuale ritorno dei rifugiati.
Bassem Naim, alto funzionario di Hamas, ha dichiarato all’AFP che il gruppo respinge la proposta di Trump definendola inaccettabile per i palestinesi, seppur questa venga mossa sotto le buone pretese della ricostruzione. Nel frattempo, le forze israeliane mantengono una presenza significativa lungo la linea di confine e nelle aree di buffer all’interno di Gaza, continuando a rappresentare un elemento di tensione nonostante la tregua.
La pace nella regione è dunque ancora piuttosto fragile, mentre la comunità internazionale osserva con apprensione gli sviluppi e spera che il cessate il fuoco possa rappresentare un primo passo verso una risoluzione più stabile e duratura.