Roma, venerdì 9 maggio 2014 – Parlare di Giulio Andreotti è un po’ perdersi nei tanti fascicoli di storia politica che sono dis-ordinati nella mente di chi oggi li rilegge o li riscrive. E’ il voler indagare ancora una volta su tante domande rimaste aperte o chiuse frettolosamente da proverbiali posizioni politiche. Il ricordo che unisce gli italiani è immediatamente quello legato alla sua immagine di uomo di stato. Innegabile, da qualsiasi punto lo si voglia osservare, è (stato) il suo potere.
Alessandro Iovino, dai suoi incontri con il “Divo”, decide di dipingerne il ritratto, guardandolo da vicino. Una breve panoramica storico-politica ci introduce già nell’atmosfera del libro, che non è quella di celare posizioni pro o contro Andreotti: il suo occhio di storico è sempre attento a non banalizzare. L’uomo che “ha sopravvissuto a tutto e a tutti” è il vero ed unico protagonista. Dunque un excursus neutrale, sebbene Iovino, incornicia Andreotti in un alone indefinito:
“(…)e, se dovesse essere associato ad un colore, non potrebbe certo essere bianco, ma neppure nero. Il Divo Giulio è per antonomasia, l’emblema del grigio”.
Ma poi viene il bello:
“Una volta chiesi ad Andreotti”. Andreottista o no, il lettore non può non sentire un gelo lungo la schiena. Si vede improvvisamente proiettato in quelle conversazioni, le “confidenze” tra lo storico Iovino e il potente Andreotti. Alla loro stretta di mano, molte saranno state le domande che facevano il girotondo nella curiosità dello scrittore. E il lettore sicuramente le immagina,le elabora e spera che siano le stesse che Iovino ha poi lui posto. Quella che gli porrà, certo, ce la siamo posti un po’ tutti: l’affaire Moro. Tra gli altri, il punto interessante sta nella capacità dello scrittore di tratteggiare e delineare la fisionomia di un uomo, prima che di un potente. Ecco la sua romanità, a tratti, la sua normalità. Attento e scrupoloso nell’analisi, in ogni dettaglio che scruta, in ogni particolare che indaga, emerge un grande rispetto per la figura storica che ha davanti. A volte affida le sue osservazioni più pungenti ad una sola frase, pochi elementi che lasciano intendere una riflessione continua, garbata, sapientemente “educata”, come lo è la sua scrittura. Fluida e veloce non è mai pesante né retorica. Una scrittura che vuole farsi leggere. Le pagine si girano velocemente, perché sono pagine che indagano non il colpevole, non la vittima, ma l’uomo, quell’uomo che del potere ha fatto la sua anima.
Andreotti e il potere. Il Divo Giulio visto da vicino, sarà presente alla Sala del Libro di Torino. A presentarlo sarà lo stesso scrittore, per soddisfare ogni altra curiosità.