Roma, venerdì 22 aprile 2011 – “Spesso sogni di raggiungere una nuova felicità che non hai mai neanche immaginato, e di poter conquistare così una corona per la tua fronte spoglia” dice tristemente Gabriela Corini nei panni dell’alfiere Christoph Rilke che, tra polvere e smarrimento, cavalca attraverso il giorno e la notte nell’incertezza della guerra. A Torretta Valadier si rievoca lo spirito del Conte di Langenau che pare quasi di veder volteggiare tra le stanze, mentre al suo passaggio repentino fa tremolare le fiaccole, per poi sparire lungo il ponte. L’autore del testo Rainer Maria Rilke, uno dei principali poeti del Ventesimo secolo, attraverso il percorso immaginario di un suo antenato durante le Crociate contro i turchi nell’Ungheria della seconda metà del Seicento, ci narra della condizione umana sospesa tra cuore e dovere, tra la vita e la morte. La fine del giovane alfiere è un rinascere, finisce il corpo ma il suo cammino continua nell’esaltazione della poesia. Il linguaggio dell’autore è simbolico, il fiore rappresenta la brevità della vita che conduce alla commozione.
Gabriela Corini è un’attrice di pluriennale esperienza, che spazia tra la danza, il teatro ed il canto alla ricerca di nuovi linguaggi artistici, e lo fa mettendosi in gioco, dando luce al proprio sentimento. “Ma perché diavolo ce ne stiamo in sella a cavalcare in questa terra velenosa contro cani pagani?” urla la Corini nei panni dell’alfiere, e nel far ciò c’invita a riflettere su quanto sia attuale questo grido alla luce dei nuovi venti di guerra che agitano la vecchia Europa e l’intero pianeta. L’attrice avvolta in un lungo mantello medioevale è poesia in movimento. Il suo personaggio è ogni singolo uomo sulla terra, in ogni epoca, in ogni luogo, che stancamente accoglie su di sé le gioie ed i dolori del mondo. Ancorandosi al mondo interiore del giovane alfiere, fra tristezza e nostalgia compie un viaggio attraverso le epoche che ci conduce a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. S’immedesima nel ruolo con intensità, tra parole come musica e gesti come danza e materializza in scena la debolezza dell’animo umano per farne riscoprire nella pietà la grandezza.
L’attrice con sguardo luminoso e voce armoniosa trasmette un vivido sentire, realizzando lo strano contrasto che risiede tra la gioia ed il dolore. Si muove con grazia disarmante e grande forza interpretativa nel contempo, tra pause ad hoc e modulazione del tono vocale, passando dal flebile al perentorio per poi tornare al suadente, per sottolineare differenti stati d’animo e toccare gli astanti nel profondo. Ella è voce narrante, voce cantante, ora alfiere, ora madre mentre diffonde sentimento allo stato puro, alternando amore al senso di smarrimento con forte drammaticità. Piange per la morte dell’alfiere che altri non è che una parte di noi stessi e porta in scena la fragilità del cuore nella gioia come nella sofferenza. Dona voce alla propria interiorità attraverso la poesia e l’arte teatrale e nel far ciò la trasforma in sentimento universale. Sulla linea delle parole del pensiero dell’autore Rainer Maria Rilke, l’uomo può salvare sé stesso ed il mondo se riesce a dare valore ad esso in un invisibile spazio interiore, difeso dalla poesia.