Ci sono tutti gli ingredienti del classico giallo all’italiana delle trame che coinvolgono lobby e politica, segreti e rivelazioni nella vicenda dell’indagine su ipotesi di corruzione (si parla di favori per viaggi e ristrutturazioni edilizie) a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati ed ex consigliere togato del Csm, Luca Palamara, che in questi giorno tiene banco sulla stampa e nei commenti politici. Anche perché a qualcuno non è parso vero poter cogliere al volo l’occasione di interpretare uno stralcio di una chat intercettata, sfuggito dal riserbo dei fascicoli dell’inchiesta, come spesso succede quando c’è di mezzo il nome di un politico.
Oltre alle lotte interne per gli incarichi, dalle indiscrezioni sull’inchiesta emergono colloqui che appaiono poco istituzionali e troppo amichevoli tra vertici di Csm e Associazione dei magistrati e personalità più o meno note per accordi su nomine nei vari incarichi e giudizi su procedimenti in corso. La trama quindi si infittisce. Perché le rivelazioni riportare da alcuni giornali in merito agli atti dell’inchiesta della procura di Perugia su Palamara arrivano a proposito, con l’approssimarsi della data dell’avvio del procedimento giudiziario contro l’ex ministro dell’Interno e leader della Lega Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per la questione dello stop ai migranti sulla nave Diciotti, soccorsi in mare.
Quello che emerge dallo scambio di battute, pubblicato in questi giorni, della chat trapelata dagli atti dell’inchiesta tra Palamara e due colleghi, a cavallo di un evento pubblico a Viterbo, è una valutazione che tre magistrati fanno in privato delle ricadute politiche e dell’opportunità di un’azione giudiziaria che in quei giorni è su tutte le prime pagine. «Quando avremo conoscenza completa di quella conversazione e delle altre – ha detto al Corriere della sera Luca Poniz, il presidente dimissionario dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati, organo rappresentativo della quasi totalità delle toghe – potremo parlare meglio e a lungo. Noi abbiamo chiesto quelle chat e i colloqui intercettati, ancora prima che venissero pubblicate sui giornali, ma non ce li hanno purtroppo ancora mandati».
Ma tanto basta a far gridare l’area politica che difende l’operato di Salvini (e che così evidentemente si prepara a chiamare alla mobilitazione i propri sostenitori) a un improbabile atto eversivo nei confronti dell’allora ministro dell’Interno. Come se la chat fosse la pistola fumante del complotto delle “toghe rosse” di berlusconiana memoria di cancellare dalla scena politica il leader leghista.
Che poi Palamara, con quelle che la collocazione ideologico-correntizia del variegato universo della magistratura potrebbe fantasiosamente portare a definire le vere “toghe rosse”, ovvero i magistrati di Area, la componente “di sinistra” dei magistrati italiani, tanto in buone non è mai stato. Da leader della componente di Unicost, l’area “moderata” delle toghe, Palamara non ha mai risparmiato scontri con Area. Fino alla convergenza nel governo dell’Anm che ha portato alla presidenza Poniz, di Area, con il sostegno di Unicost e di Autonomia e Indipendenza, la componente che fa capo a Piercamillo Davigo.
Un’alleanza nata per fare quadrato intorno alla questione morale e all’indipendenza dei magistrati dalla politica, oggetto anche di un forte richiamo da parte del Presidente della Repubblica, nonché Presidente del Csm, Sergio Mattarella. Alleanza che l’inchiesta di Perugia ha messo in crisi, portando alle dimissioni di Poniz e dei membri della giunta dell’Anm di Area e di Unicost, con reciproco scambio di accuse. «Fin quando ai magistrati sembra interessare più la carriera che il lavoro, il problema c’è. Questo l’ho detto dall’inizio del mio mandato», è stato lo sfogo di Poniz nella sua intervista.
Accuse di timidezza sulla questione morale che Unicost ha rispedito al mittente, accusando a sua volta Area di non aver decisamente preso le distanze dalle trame di potere che emergono in controluce dall’inchiesta di Perugia su assegnazioni di incarichi. Un clima di scontro interno che rende ora più tortuoso il passaggio del rinnovo elettorale delle cariche, previsto per il prossimo mese di ottobre e che in occasione della riunione di oggi del Comitato direttivo centrale dell’Anm la componente di minoranza, Magistratura Indipendente, ha chiesto di anticipare, grazie anche alla facilità di potervi provvedere tramite il voto telematico.
Nell’eterno braccio di ferro tra poteri dello Stato riprende quindi quota la mai sopita tentazione della politica di mettere mano alla riforma del Consiglio superiore della magistratura, nella convinzione che l’attuale composizione, tra membri togati e membri laici, offra troppo spazio alle correnti politiche e alle trattative su assegnazioni di sedi e incarichi sulla base di simpatie, affinità e amicizie.
«Non si può più attendere» ha scritto ieri su Facebook il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, in merito alla riforma del Csm. Il Guardasigilli cerca così di recuperare la credibilità che, nonostante il ricompattamento della maggioranza parlamentare in sua difesa all’ultimo momento contro le mozioni di sfiducia al Senato di qualche giorno fa, è stata messa in crisi dal “fuoco amico” di ampi settori degli alleati, Pd e Italia Viva, della squadra dei Cinque Stelle capitanata da Bonafede nel governo.
L’obiettivo del ministro è «un nuovo sistema elettorale sottratto alle degenerazioni del correntismo», che elimini il collegio unico nazionale e lo sostituisca con collegi uninominali. E nel pomeriggio di oggi il titolare di via Arenula ha convocato per domani alle 18 un vertice di maggioranza per iniziare a disegnare la riforma.
Tutto questo oggi, data simbolo come 28° anniversario dei funerali di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della loro scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, trucidati nella strage di Capaci. L’occasione giusta per non dimenticare le parole di Ilda Boccassini, la sostituta procuratrice amica di Falcone, che nell’aula magna del Tribunale di Milano ammonì i colleghi per le trame interne alla categoria, le invidie, gli ostacoli e le omissioni che avevano lasciato solo il magistrato antimafia e ne avevano ostacolato la preziosa intuizione della Superprocura antimafia: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali. Ora io dico che una cosa è criticare la Superprocura. Un’altra, come hanno fatto il Consiglio superiore della magistratura, gli intellettuali e il cosiddetto fronte antimafia, è dire che Giovanni non fosse più libero dal potere politico. A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l’unica strada possibile, il Ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia. Ed è stata una rivoluzione».