Roma, martedì 12 marzo 2013 – “Perché m’hai lasciata sola tutto quel tempo? Io non avrei voluto…Sognavo con te una felicità che ci tenesse uniti per sempre” dice il personaggio femminile, alias Katia Nani, con tono di voce flebile, sofferente e sguardo basso e atterrito dal senso di colpa, mentre le ginocchia si flettono dal dolore e la protagonista conduce le mani al volto in posa piangente. “Il tempo che ho perso ad aspettarti…In ansia…A far niente” prosegue l’attrice squarciando il silenzio con la denuncia di una struggente passività nei confronti del proprio uomo. Le note melanconiche di un tango argentino invadono il salone del teatro, il motivo di una fisarmonica rapisce la mente e accompagna lo sguardo sui movimenti lenti e ampi di un’avvenente signora che si toglie il soprabito al centro della scena. Ma chi è questa donna vestita di nero che sussulta al suono di un campanaccio in lontananza? Un’attrice al rientro a casa dal teatro, la donna di un marinaio in viaggio per il mondo o una folle visionaria che sconta i suoi giorni in prigione? Il tutto par risiedere nella libera interpretazione del pubblico. Difronte a uno specchio illuminato come in un camerino d’artista, ella raccoglie i capelli a ‘chignon’ per farli sparire dietro a una scapigliata parrucca rossa che le fornisca l’aspetto di un nuovo personaggio del racconto.
Gli occhi spiritati d’entusiasmo son quelli di chi è in perenne attesa di un qualcuno che non giunge mai. Ripete frasi su frasi con aria disperata e impaziente, evidenziando una sorta di maniacalità quotidiana e un profondo stato di solitudine. Il tutto avvolto da un clima nostalgico di un passato meraviglioso, ammantato di suggestioni di paesi e venti equatoriali. Ma il ricordo di un mutato sentimento può lacerare gli animi. È l’analisi impietosa di una relazione tra un uomo e una donna, tra amore, conflitto e disperazione. Il confine tra finzione e realtà resta labile. L’attrice entra ed esce da un personaggio all’altro con maestria, donando al suo pubblico una delle sue interpretazioni più intense e passionali, in cui la quotidianità dell’attesa di un amore lontano si trasforma in un folle gesto di riscatto al femminile. Dalla parola alle tante espressioni del volto dell’attrice emergono molteplici personaggi in scena. Le donne da lei incarnate hanno tutte un elemento di base che le accomuna, una personalità fragile, sofferente, nel cercare la propria completezza nell’altro, senza mai raggiungerla in verità, e nel vivere in una realtà dal contorno immaginario. Note musicali e parole in prosa attraversano le quinte del teatro mentre lo sguardo dell’attrice cattura lo spettatore in un clima nostalgico e sognante.
Le donne da lei interpretate, il personaggio dell’attrice che tenta di realizzarsi dal punto di vista esistenziale attraverso una semplice audizione, la donna del marinaio che con fare remissivo chiede il permesso di esistere all’ombra del suo uomo, la donna folle che a furia di vivere nel sogno diviene preda delle proprie visioni, ignorando d’essere succubi in realtà delle proprie scelte, patiscono una condizione di totale mancanza d’autonomia. Ciò che salta agli occhi è un profondo bisogno di libertà da parte della donna, chiunque essa sia, di sfuggire alla propria condizione di sudditanza e riappropriarsi della propria dignità. E forse deriva da qui la scelta del regista di porre in scena tale monologo nel giorno della festa internazionale della donna. Katia Nani è un’attrice che lascia il segno. Il suo volto, la mimica e i movimenti sono altamente espressivi e tali da trasformare la disperazione di un amore perduto, in toccante poesia. Ciò che rimarca di più è il ritmo, l’incedere di un’attrice d’esperienza che dona veridicità alla vicenda con estrema naturalezza e partecipazione emotiva. Il corpo dell’attrice nel suo fluttuante movimento diviene cassa di risonanza di un acceso sentire, scalda il cuore del pubblico e lo trascina in atmosfere lontane e sconosciute.
Ma l’atto di follia che s’intravede nel pianto di questa donna, avrà poi luogo nella realtà? Ci sarà un barlume di riscatto? Oppure tutti i personaggi rimarranno nella loro ossessiva quotidianità e nel loro devastante vuoto interiore? Intime confessioni d’inadeguatezza condite a frasi martellanti e frammentarie fanno da sfondo a un mosaico di sofferenza e passione. Sensi di colpa, pulsioni trasgressive, tanta rabbia velata di gelosia e persone smarrite alla ricerca di un punto saldo che le ponga al riparo da sé stesse e dalle proprie pulsioni. Dal sogno di un’unione apparentemente felice traspare una patetica e drammatica realtà. Quando entra direttamente in scena il personaggio maschile alias Angelo Zito, “Hai scavato nei ricordi, messo insieme fantasia e drammi veri”, è come se il personaggio dell’attrice, interpretato da Katia Nani, nel rivivere sul palco la storia dei due amanti, li facesse accomunare nei rispettivi sentimenti. Avviene una sorta di scambio di ruoli tra l’uomo e la donna, nel senso che il personaggio attrice affermando di volersi ora costruire in prima persona la propria realtà diviene attivo, mentre il personaggio del marinaio, rivelando una sorta di dipendenza nei confronti della donna, d’incanto assume connotazione passiva. Una pièce di drammaturgia contemporanea che affonda le radici nella desolazione della nostra quotidianità. La fragilità dei personaggi nella loro perenne ricerca d’identità è il quadro della vacuità del nostro tempo. Un’intuizione interpretativa di stampo neorealista in cui il dramma di due amanti assurge a testimonianza di un’intera epoca di assordante solitudine.