DI MASSIMO MARCIANO
Per capire le conseguenze politiche della giornata di oggi al Senato occorrerà attendere ciò che accadrà nei prossimi giorni alla Camera. Effetti tipici dello strabismo politico italiano, dove non tutto è sempre come appare. Neanche il doppio voto del Senato di oggi, che ha respinto le mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
Mentre durante il clou della pandemia la maggioranza politica si è allontanata dalle sue sedi istituzionali e dalla quotidiana abitudine alle dichiarazioni sull’universo dello scibile umano, lasciando da solo il governo ad affrontare l’emergenza e anche l’inedito ruolo di chi deve rispondere politicamente agli attacchi (e pure alle fake news) delle opposizioni, le Aule parlamentari tornano a popolarsi, con ancora mascherine indossate e contingentamento del numero dei presenti, per la mai sopita passione per l’argomento a cui ormai da lustri (Berlusconi docet) si è affidato il compito di catalizzare gli schieramenti nelle grandi occasioni di scontro: la giustizia.
È alla Camera, infatti, che si giocherà la partita vera. Che è tutta politica ed è quella sulle presidenze delle Commissioni permanenti, giunte al momento del rinnovo biennale previsto dal Regolamento dell’Assemblea di Montecitorio. Con ancora in sella presidenti della Lega, eletti dalla precedente maggioranza, che fatalmente dovranno fare posto a colleghi della maggioranza attuale. Nella quale Italia Viva non fa mistero di ritenersi sottodimensionata.
Va da sé che, lungi da Conte l’idea “vintage” di un rimpasto di governo (che pure ha nel sindaco di Milano, Beppe Sala, un autorevole sostenitore), rimangono le presidenze delle Commissioni di Montecitorio le prospettive di visibilità (e di potere reale sull’agenda politica) che si aprono per i Renzi boys (and girls, sottolinea più di qualche osservatore, guardando alle esponenti di spicco del passato governo guidato dal senatore toscano). Nei prossimi giorni si vedrà quanto peserà in termini di rappresentanza ai vertici delle Commissioni alla Camera il sostegno dato oggi da Italia Viva al governo, dopo che per giorni Renzi e i suoi hanno tenuto sulla graticola Bonafede e impegnato Conte in vertici e trattative.
A conti fatti, i 17 senatori di Italia Viva hanno riesumato quella che, ai tempi del Psi craxiano, veniva definita la “rendita di posizione” di chi, pur con una contenuta rappresentanza, con i suoi voti può essere l’ago delle bilancia fra due contendenti. I numeri parlano chiaro: la prima mozione di sfiducia (del centrodestra) è stata bocciata con 160 contrari, 131 favorevoli e un astenuto; la seconda (di Più Europa) con 158 no, 124 sì e 19 astenuti.
È stata, quindi, una partita a poker, giocata per di più nel pieno del post-quarantena. Con tanto di bluff da parte di entrambi i giocatori. Difficile, infatti, credere sia alla minaccia del Pd di chiudere la legislatura ora in caso di sfiducia a Bonafede, con un’emergenza ancora non completamente chiusa e nessuna alleanza alternativa all’attuale, sia a quella del no al Guardasigilli da parte di Italia Viva: i sondaggi che Renzi ha sulla sua scrivania gli dicono chiaramente che la creatura da lui partorita “in vitro”, qualora si votasse ora, sarebbe sotto la soglia di sbarramento da lui stesso sempre giudicata il giusto limite per sfoltire i “cespugli”.
Che l’occasione di conflitto sulla figura del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, fosse solo un tentativo di mettere in crisi l’alleanza tra Pd e M5S concentrando il fuoco su uno dei dicasteri dimostratisi più deboli dell’esecutivo e quindi, potenzialmente, una delle architravi più vulnerabili per la tenuta del governo, lo si è capito nel momento del deposito delle due mozioni di sfiducia individuali contro il Guardasigilli, respinte entrambe oggi dall’Aula di Palazzo Madama. La prima, presentata dai partiti dell’opposizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia), imputava al titolare del dicastero di via Arenula eccessiva morbidezza; l’altra, di Più Europa, eccessivo giustizialismo.
Come si possa imputare alla stessa persona, contemporaneamente, tutto e il suo contrario, rimarrà uno dei misteri irrisolti della politica italiana. Che sembrava più simpatica quando, invece di giocare con i paradossi filosofici, ci divertiva con quelli geometrici delle convergenze parallele.