E’ giovane. E’ videomaker e fotografo. E’ di Livorno. Arriva in libreria con il suo grande lavoro “I luoghi di Modigliani. Tra Livorno e Parigi”. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo. Ecco una breve intervista.
Luca dal Canto. Raccontaci di lui
Luca Dal Canto è un inguaribile sognatore, testardo e livornese. Classe 1981, cresciuto in mezzo a una marea di libri, a una madre insegnante di lettere, a un padre che legge una decina di libri al mese e uno zio storico dell’arte, sin dall’età di 5 anni si è messo in testa che da grande avrebbe voluto lavorare nel mondo della Cultura (ignaro delle mille difficoltà). Dopo gli studi in Cinema e Fotografia fa il grande salto e comincia a lavorare come aiuto regia di nomi importanti del panorama italiano come Daniele Luchetti, Sergio Rubini, Enrico Oldoini e molti altri. Poi, dal 2009 inizia a firmare spot pubblicitari e videoclip (che gli danno da mangiare), ma anche documentari e soprattutto cortometraggi, tra cui gli ultimi due, pluripremiati: “Il cappotto di lana” (2012) e “Due giorni d’estate” (2014) presentato al 67° Festival di Cannes.
Chi è Amedeo Modigliani per te?
E’ il più grande artista del Novecento. E’ il sunto perfetto, ante litteram, della geniale testardaggine labronica (e italica), che quando esce dai propri confini esprime al massimo tutte le sue potenzialità artistiche e culturali.
Da dove parte il progetto I luoghi di Modigliani?
Parte quasi come gioco, come itinerario turistico che ho voluto percorrere insieme ad Anita Galvano (mia collaboratrice, nonché moglie) quando abbiamo abitato per più di un mese a Parigi per un altro progetto lavorativo. Da lì abbiamo visto che ogni luogo in cui Modigliani aveva vissuto o da cui era passato poteva raccontare un episodio importante della sua vita e quindi abbiamo deciso di raccontarli per immagini documentaristiche che mostrassero, allo stesso tempo, anche come questi “posti” fossero mutati in un secolo di cambiamenti sociali ed economici.
Ci racconti di questa esperienza? Di tutto il “viaggio”?
E’ stata veramente emozionante, talvolta avevamo letteralmente i brividi nel calcare le orme del grande Dedo. Per selezionare i luoghi (7 a Livorno e 38 a Parigi, le due città che più hanno dato a Modigliani) abbiamo svolto un’ intensa ricerca storica e bibliografica, con lo scopo di raccontare l’intera tragica, sfortunata, geniale esistenza dell’artista senza cadere nel mito del pittore maledetto, ubriaco e drogato. Modigliani era prima di tutto un uomo e, come tutti noi, ha vissuto esperienze incredibili, tragiche, divertenti, emozionanti, pazzesche. Non era un drogato, non era un ubriacone, o meglio… lo era come tutti gli artisti geniali di quel periodo, né più né meno.
Cosa hai messo “in valigia” prima di partire? Perché?
Ho messo tanta passione e tanto amore per la mia città, oltre che per Modigliani, troppo bistrattato (almeno fino a tempi recentissimi) in riva al mar Tirreno.
Cosa hai provato quando hai visto i suoi luoghi ? E quando li hai visti nelle vesti di oggi?
Come ti dicevo è stata un’emozione incredibile. Ho sempre pensato che “i luoghi” siano fondamentali nella vita di un uomo e se pensi che questo “uomo” è Modigliani, beh… Tutto viene di conseguenza. Ero quasi impaurito. Nel vederli e nel fotografarli sembrava che, nonostante i mille cambiamenti (soprattutto a Livorno), in quei palazzi, per quelle strade, per quei cafés ci fosse ancora qualcosa di lui. L’atmosfera era particolarissima. E’ un itinerario che consiglio a tutti; tra l’altro nella mostra e nel relativo catalogo ci sono due meravigliose mappe grafiche – opera di Enrica Mannari – che riassumono tutti i luoghi fotografati e quindi visitabili nelle due città. Molti luoghi sono mutati, anche radicalmente. La globalizzazione, i bombardamenti bellici (vedi Livorno) e le attività umane hanno spesso trasformato luoghi un tempo ricchi di arte e cultura in accademie di estetica o magazzini abbandonati, o ancora residence o, peggio, in orrendi edifici ricostruiti senza alcun gusto architettonico. Ci sono comunque dei casi in cui, soprattutto a Parigi, tutto è rimasto uguale e allora, lì, ti sembra di tornare al secondo decennio del Novecento, quando Modigliani rivoluzionò il modo di dipingere e scolpire, snobbato da tutti.
Qual è il luogo che più ti ha colpito?
Sicuramente l’edificio che ha ospitato Modigliani e Jeanne negli ultimi giorni della loro vita, in rue de la Grande Chaumière, al civico 8. Siamo saliti per quelle scale scricchiolanti (le stesse di allora) e siamo arrivati fino al penultimo piano, dove si trovava il loro minuscolo e misero “studio”. Eravamo soli e potevamo benissimo essere nel 1920. Niente ci faceva credere il contrario.
Anche tu sei un artista. Ci parli del tuo modo di vedere il mondo?
E’ un modo di vedere molto confuso. Un giorno sono ottimista, gli altri due pessimista. Lavorare di progetti artistici e culturali ti distrugge psicologicamente. Ma è troppo bello, e quindi continuo, grazie anche alla mia Anita.