Roma, martedì 5 marzo 2013 – Mettersi a nudo e farlo con ironia, è una prova che non riesce a tutti. Emanuele Salce, che ha scelto il Teatro Nino Manfredi come prima tappa della sua lunga tournée, supera alla grande questa prova. Un testo che ha già soddisfatto l’esigente pubblico romano. Da tre anni, infatti, “Mumble Mumble confessioni di un orfano d’arte” travolge con elegante comicità la folta platea che ha accompagnato ogni replica. Scritto con Andrea Pergolari, lo spettacolo diventa per il protagonista una vera e propria confessione pubblica.. Emanuele Salce racconta la verità, la sua verità, la sua storia. Ad incoraggiarlo uno straordinario Paolo Giommarelli assistente, alter ego, spettatore complice e provocatore di questa confessione. Una sorta di terapia quella che affronta Salce in circa novanta minuti di spettacolo. Guarda in faccia ai suoi fantasmi, dimostrando coraggio e grandi doti attoriali.
È in scena l’uomo, dunque, con le sue insicurezze e le sue paure; ma è in scena anche l’attore. Un attore non capito nel tentativo di raccontare la verità attraverso Dostojevski, una prova che fallisce ma che, nel camerino di un teatro di una sperduta località italiana, dà la possibilità ad Emanuele di fare chiarezza. Come una seduta da uno psicologo, Emanuele Salce ipnotizzato da un pendolino, torna indietro e racconta dei suoi primi titubanti passi mossi nel mondo dello spettacolo. A frenarlo in questa decisione l’ombra dei suoi due padri, Luciano Salce, padre naturale e Vittorio Gassman secondo marito di sua madre.
Padri forse poco presenti, molto concentrati su loro stessi ma che gli hanno trasmesso il talento e la passione per il mestiere dell’attore. I suoi due papà sono con lui sul palco. E non con gigantografie come spesso accade di vedere negli spettacoli dove i grandi artisti del passato sono ricordati, ma questi due grandi uomini vivono grazie alle capacità interpretative del protagonista. Un testo dettagliato accompagnato da una fantastica interpretazione permettono al pubblico di vedere anche i più piccoli dettagli della storia. Il grande mattatore del teatro italiano e uno dei più grandi registi degli anni Settanta, vivono sul palcoscenico del teatro di Ostia. Emanuele narra dei funerali di questi due grandi personaggi. Lo fa con il sorriso sulle labbra perché se è vero “che non si è mai preparati alla morte” ci sono anche modi per esorcizzarla ed Emanuele sceglie la comicità.
Non solo la morte dei suoi padri, parla anche della sua morte. E racconta di una disavventura con una giovane e bella donna australiana, un incontro poco fortunato a causa di una boccetta di lassativi. Una liberazione da un blocco che opprimeva Salce da troppo. Una catarsi, una redenzione. Se la paura di Emanuele Salce è stata per anni quella di essere paragonato ai due mostri sacri, dopo aver viso lo spettacolo possiamo affermare che i suoi timori erano del tutto infondati. Non si tratta del solito “figlio d’arte”, doppio in questo caso, pronto a “sfruttare” i cognomi dei padri, ma di un artista con ottime capacità interpretative e scelte registiche perfette che prendono per mano il pubblico e lo accompagnano per oltre novanta minuti in un racconto divertente, emozionante e semplicemente vero.