Roma, martedì 6 novembre 2012 – Il ritmo jazz e be bop, la ribellione, l’incertezza, due amici, l’autostop, una macchina, il viaggio, la strada: ecco che un’immagine, forse un po’ sbiadita, della beat generation appare sullo schermo nel nuovo film di Walter Salles, On the Road, una co-produzione inglese, francese e americana uscita nelle sale italiane a ottobre.
“Conobbi Dean subito dopo la morte di mio padre…”: con queste parole Sal Paradise (Sam Riley) inizia il racconto della sua giovinezza vissuta al fianco di Dean Moriarty (Garrett Hedlund), un giovane sbandato che esercita subito un forte ascendente su di lui. Sal sta scrivendo un romanzo ma qualcosa lo blocca, così si lascia trascinare dall’energia indomabile dell’amico e lo segue nelle sue peregrinazioni nel continente americano insieme alla fidanzata di lui, la bella e disinibita Marylou (Kristen Stewart). Il giovane scrittore inizia la sua avventura sulla strada, tra musica, feste, droga, alcool, conoscenze e lavori occasionali ma in alcuni casi importanti, momenti di ispirazione, e momenti di alienazione. Sal seguirà il suo percorso per lunghi tratti da solo, ma negli anni ritroverà più volte Dean, colui che gli ha mostrato come vivere una vita senza costrizioni.
Della storia originale di Jack Kerouac, uno dei massimi esponenti della beat generation, c’è una traccia importante in questa pellicola ma non è abbastanza: Saller prova a rendere le sfumature, la profondità, l’irrequietezza del romanzo, ma è troppo difficile raccontare l’epopea di Sal e Dean senza perdere qualcosa e finire per trasformarla in una mera storia di giovani; è troppo complicato seguire il ritmo scatenato di quel viaggio senza ridurne il flusso vitale che ne deriva; e durante il film il ritmo cala, quasi si spegne, troppe volte.
Il sapore autentico della strada vissuta dai protagonisti del romanzo si perde; la loro inquietudine e la loro complessità psicologica, a tratti tragica, sono presenti solo in minima parte, per dar peso ad altri aspetti e a personaggi che nella storia originale, in realtà, sono solo di sfondo, come Marylou. La carente sceneggiatura viene in parte compensata dalla buona interpretazione degli attori, in particolare di Riley, che trasmette l’ansia di evasione mista ai dubbi di fronte al nuovo. Dopo aver già sperimentato una tecnica simile nei Diari della motocicletta, Salles è però riuscito a rappresentare al meglio i grandi spazi dei paesaggi statunitensi scegliendo particolari inquadrature, che evocano l’idea del viaggio. Il film mostra forse solo una faccia di quegli anni ’50 ben saldi nella memoria degli americani che li hanno vissuti, ma la beat generation è stata molto, molto di più.
Annalisa Milanese