Roma, martedì 7 maggio 2013 – Al Teatro Quirino di Roma da martedì 14 maggio arriva la commedia «Un Marito Ideale», di Oscar Wilde, presentata dalla Compagnia Lavia Anagni. Regia di Roberto Valerio. In scena Valentina Sperlì, Roberto Valerio, Pietro Bontempo, Alarico Salaroli. Scene e costumi sono di Carlo Sala. Le repliche continuano fino al 19 maggio. Forse a prima vista la commedia, messa in scena da Wilde nel 1895, solo pochi mesi prima di essere condannato ai lavori forzati in uno dei processi simbolo dell’Inghilterra vittoriana, è la meno adatta ad allinearsi con l’attuale situazione sociale e politica italiana. Troppo distante da noi per tempi e per temperamento quella società. Quel senso etico e morale, perbenista fin che si vuole che nel fondo, ben celati, conservava brame e peccati inconfessabili. E che sopratutto non ammetteva coming out. Sia nei costumi sessuali, sia nei comportamenti etici in politica. Di quel puritanesimo l’Inghilterra odierna forse non conserva che il senso etico, per cui se un uomo pubblico sbaglia, paga con le dimissioni e la fine della carriera.
L’Italia si sa è altra cosa. E la richiesta di un cambio di marcia che la società italiana chiede, dopo un ventennio di scandali politici, viene incarnata dagli stessi “attori” di sempre. Quindi a prima vista l’operazione culturale voluta dal regista Roberto Valerio sembrerebbe paradossale. Presentarci ancora una volta le differenze di stile tra la nostra e la società perbenista inglese. Ma come sempre c’è un ma! Perché il testo di Wilde ha molte sfaccettature, oltre alla frivola bellezza dello stile ammirato e invidiato del suo autore. Tema centrale è il problema della corruzione politica e dell’integrità dei governanti. Un tema drammaticamente attuale per la nostra società che offre un’ottima sponda per interrogativi di sconcertante attualità: è possibile una politica senza compromessi? la questione morale è un fatto privato o pubblico? esiste ancora un limite oltrepassato il quale si prova vergogna delle proprie azioni? Al tema pubblico si aggiunge quello privato: un marito, per essere ideale per sua moglie, deve anche impersonare la perfezione morale?
Sir Robert Childern, uomo rispettabilissimo di grandi capacità, è una personalità; occupa una importante posizione nella vita politica, è sottosegretario agli affari esteri. Tuttavia egli porta una spina nella sua coscienza, ha iniziato la sua ascesa con un atto disonesto e tace alla moglie quell’inizio immorale per paura di perdere il suo amore. Ma ecco che appare una ricattatrice, la signora Cheveley. Un triangolo non amoroso, che mette tutti contro tutti e crea sulla scena un luogo geometrico dove gli inganni, le debolezze, le meschinità trovano la forza di uscire allo scoperto. Tutti i personaggi ancorati alla loro eleganza, si muovono per spazi angosciosi dove s’annidano duelli, ricatti e compromessi e alla fine nessun è quello che sembra. E questo scontro aperto, questo spezzone di società che si dilania e si avvita sulle proprie nefandezze, senza trovare una via di uscita, è alla fine quello che forse meglio rappresenta l’Italia odierna. Chiusa nel particolare dei veti contrapposti, dei personalismi e delle lobby.
Sul canovaccio stereotipato della commedia vittoriana, Wilde innesta il suo formidabile gusto per la battuta caustica, l’aforisma fulminante, il dialogo frizzante, il nonsense, il paradosso, il virtuosismo verbale, facendo dello stile lo strumento ineguagliato per mettere a nudo e gettare via tutto il vecchiume e la polverosa ipocrisia di un’epoca. E forse, imparando la sua lezione, riusciremo a ridere con eleganza di questo tempo presente stagnante, in attesa che qualcosa si muova.