Ardea (Roma), domenica 30 settembre 2018 – A due settimane da quello che sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno, la sua città di adozione nonché ultima dimora, Ardea, non dimentica Franco Califano, nato il 14 settembre 1938 a Tripoli, e dedica al “Maestro” un appassionato ricordo in parole, musica e grande emozione. La cittadina alle porte di Roma, che ospita la casa-museo dedicata al poeta della canzone italiana, ieri sera ha tributato un commosso omaggio alla vicenda artistica e umana di un uomo che ha segnato un’epoca, fino alla sua scomparsa, avvenuta a Roma il 30 marzo 2013, con una serata-ricordo a cui sono intervenuti amici e appassionati.
“Impronte digitali” è stato il tema della serata: un esplicito richiamo all’omonimo album di Califano, uscito nel 1984 e scritto durante il lungo periodo passato in carcere dal cantante con l’accusa di traffico di stupefacenti, vicenda dalla quale poi fu scagionato con formula piena, “perché il fatto non sussiste”, ma che ha segnato profondamente l’uomo, senza però scalfirne la potenza artistica. Una serata alla quale sono intervenuti, tra gli altri, Tonia Bardellino (nella foto a fianco), sociologa e criminologa, ma soprattutto grande amica di Califano, lo psichiatra, criminologo e scrittore Alessandro Meluzzi (anche lui nella foto a fianco, al centro), lo scrittore e criminologo Gino Saladini (nella foto a fianco, a sinistra), Sonia Modica, assessore comunale alle politiche culturali e ai servizi sociali, con la conduzione di Antonello Mazzeo (nella foto in alto, al microfono), della Fondazione Califano. Serata arricchita dai momenti musicali curati da Alberto Laurenti alla voce e alla chitarra e da Paolo Petrilli alla fisarmonica.
Alla serata sono giunti i messaggi di saluto di Giulio Rapetti Mogol, il notissimo autore, che è stato eletto venti giorni fa all’unanimità presidente del consiglio di gestione della Siae, la Società degli autori e degli editori, alla quale Franco Califano ha dato certo un grande contributo, avendo venduto nella sua carriera 20 milioni di dischi, e di Umberto Broccoli, autore, conduttore, saggista e accademico, assente per motivi di salute. «Con Franco – ha scritto nel suo messaggio Broccoli – ci siamo ritrovati più volte con il pensiero. In maniera diversa, ma abbiamo condiviso alcuni principi: la passione, prima di tutti, perché senza la passione non si può fare nulla. Essere insieme nei pensieri è la più forte forma di legame».
«Di Franco – ha ricordato Tonia Bardellino – porto con me il senso paterno. Ha vissuto sulla sua pelle una carcerazione ingiusta, solo perché aveva la faccia da colpevole: non c’era nessuna prova; l’indagine è nata da una voce fatta circolare da due pentiti. Franco non ha mai ostentato la sofferenza per quei lunghi mesi in carcere. Anzi, ha ironizzato sul fatto che non c’è stato per lui un processo con un’eco così forte sull’opinione pubblica come invece è successo per Walter Chiari ed Enzo Tortora, coinvolti ingiustamente come lui».
«L’ingiustizia – ha aggiunto la criminologa – ha origini ancestrali. Franco ha affrontato questa ingiustizia senza alcuna difesa familiare né politica. La mancanza di affetti familiari gli ha forse impedito di avere una guida per non fare errori. Ma non riteneva la sua solitudine qualcosa di negativo, bensì una pienezza che lo portava ad esprimere direttamente il suo pensiero. Piuttosto, è stato lui a dare affetto: lui aiutava tutti, anche economicamente».
Sulla questione della malagiustizia, Bardellino ha annunciato l’uscita, al’inizio dell’anno prossimo, di un libro, scritto da lei insieme ad Alessandro Meluzzi e al giornalista Andrea Ponzano. Si intitolerà “Cuori ricuciti” e citerà anche quattro casi concreti emblematici. «Il carcere – ha spiegato Bardellino – può capitare a chiunque. Questa è la sconfitta della nostra epoca: è una realtà che potrebbe appartenere a chiunque di noi. E la magistratura non paga gli errori che commette».
Meluzzi ha voluto ricordare il valore dell’artista come portatore di valori controcorrente, che restano tuttora vivi. «Laddove c’è la creatività – ha detto lo psichiatra – non c’è la morte. La forza di Califano è stata di mantenere se stesso più forte della maschera che gli è stata data. Ognuno tende a classificare gli altri, e anche il rapporto tra le persone, a seconda della propria cultura, della propria visione. Come definire invece i rapporti di Franco con chi gli è stato vicino? Tonia Bardellino, ad esempio, è stata esegeta di Franco e viceversa. Nel cuore di ognuno alberga un bambino; nel cuore di artista di Franco il bambino è rimasto sempre vivo con la sua freschezza e la sua intensità. È per questo che Tonia, pur essendo molto più giovane, è stata la madre di Franco nel momento per lui di maggiore debolezza».
«Nella storia della repubblica ma anche prima in quella della monarchia – ha aggiunto poi Meluzzi entrando nella vicenda giudiziaria di Califano – c’è sempre stata una “trattativa” fra Stato e malavita organizzata: fin dal 1859, alla vigilia dell’unità d’Italia, che altrimenti non ci sarebbe stata. L’Italia infatti è un Paese a basso tasso di sovranità nazionale: ha affidato alla mafia la gestione di alcune regioni. Ma questa era una realtà difficilmente sopportabile di fronte agli occhi della gente comune. Ed ecco perché occorreva colpire persone in vista e di successo, come Franco Califano, Enzo Tortora e Walter Chiari: quei processi e l’uso dei pentiti sono serviti a dimostrare che il potere non guardava in faccia nessuno. Altre vittime della malagiustizia sono meno note, ma rispondono alla stessa logica dell’affermazione del potere. Nessuna civiltà può vivere senza potere, ma il grado di civiltà è dovuto al tasso di trasparenza del potere».
«Non c’è cosa più ripugnante – ha concluso Meluzzi – che l’esibizione dei buoni sentimenti, che ha permeato tutta la nostra società, secondo un modello catto-comunista. Califano ci ha liberato da questo: è stato il profeta della libertà, che ci ha rivelato quanto la nostra cultura sia permeata dalla commistione Stato-mafia e dall’esibizione dei buoni sentimenti».
La serata è stata chiusa dal ricordo dello scrittore e criminologo Gino Saladini. «Sfido – ha detto – a trovare in una canzone di Califano un giudizio morale su qualcuno. Era un uomo estremamente tollerante».