Roma, mercoledì 9 agosto 2017 – «Non sono contro il codice Minniti, ma se bisogna salvare vite serve la nave più vicina». Con questa dichiarazione il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, in un’intervista a “Repubblica”, ha preso posizione contro le nuove regole volute dal ministero dell’Interno per le Ong. Il cosiddetto Codice di Autoregolamentazione, che non tutte le sigle hanno accettato e che prevede militari a bordo, è alla base della querelle. Ma la vera questione è un’altra. È il successo e la visibilità che il ministro Minniti ha ottenuto prima con l’approvazione del documento, poi con gli interventi che hanno bloccato e limitato le Ong che non hanno accettato il Codice. Tra cui il fermo alla Joventa. Anche all’imbarcazione di Medici Senza Frontiere è stato impedito di attraccare ai porti italiani. Inoltre il pacchetto di norme prevede un maggiore coinvolgimento dei militari italiani sulla linea delle acque territoriali libiche e il sostegno del Governo Serraj alle operazioni. Insomma, se si vuole arginare il fenomeno bisogna darsi da fare. Ecco il decisionismo e l’attivismo del ministro Minniti infastidisce, tanto più che sembrerebbe aver ottenuto risultati immediati e il plauso di molti italiani. Non è possibile che un membro del Governo Gentiloni, sempre in bilico tra scarsi numeri e prossime elezioni, possa oscurare la fama di decisionista dell’ex Premier Renzi.
Per questo i suoi fedelissimi, e Delrio è uno di questi, hanno adottato la solita strategia. Attaccare, ridimensionare, fare polemica, laddove non dovrebbe esserci, per offuscarne la figura di fronte all’opinione pubblica. “Si va bene, ma”. C’è sempre un “ma” da qualche parte, pretestuoso e demagogico, che serve per trarre distinguo di lana caprina. Per innestare una polemica, per prendere le distanze, per favorire il dubbio e non dare meriti fino in fondo. Il Codice adesso c’è. Se le Ong vogliono operare devono accettarlo, devono accogliere i militari a bordo, consentire di rintracciare e riconoscere immediatamente gli scafisti, quelli che lavorano per le organizzazioni militari, e affondare le imbarcazioni e i gommoni che usano per il trasporto. Altrimenti si fa solo il gioco dei criminali e si cede al loro ricatto. Le nuove norme volute dal ministro dell’Interno non sono la panacea. Non fermeranno il fenomeno, ma è un primo passo verso un suo contenimento. L’altro passo fondamentale sarà quello di lavorare con i Libici. Le organizzazioni criminali che lucrano sui migranti cercheranno nuove strade, nuovi percorsi, proveranno a forzare la mano, ma se tra Italia e la Libia c’è comunanza di intenti è possibile dargli del filo da torcere.
Questo non vuol dire disumanizzare le regole di comportamento, o scegliere tra giustizia e solidarietà. Vuol far capire a chi lucra sulla tratta degli immigrati che le rotte sono ridotte e i lauti margini di guadagno non ci sono più. Anzi ci sono sempre più rischi per loro. Facendo capire ai tanti disperati che si mettono in viaggio che l’aiuto promesso dagli scafisti è una bugia. Una falsa speranza. Non ha fondamento. Far rispettare le regole non è di destra o di sinistra, è un principio democratico che i governi italiani dovrebbero iniziare ad adottare come mission.