Chiuse le urne nello stabilimento della Fiat a Pomigliano d’Arco, con il 64% dei si, contro il 36% dei no. Un risultato però che non proclama né vinti né vincitori. E il giorno dopo il referendum non si sa ancora quale sia il destino di 5.200 lavoratori
di Antonella Furci
Roma, mercoledì 23 giugno 2010 – Ieri il tanto atteso referendum degli operai di Pomigliano d’Arco ha dato i suoi risultati: il 95% dei lavoratori ha votato e il 64% delle preferenze sono andate al “si”, contro il 36% dei no. La Fiat però si aspettava risultati più incoraggianti con un eventuale plebiscito e per questo l’accordo sembra ancora oggi in bilico. Non si sa ancora se lo stabilimento che dovrebbe ospitare la catena produttiva della nuova Panda verrà trasferita in Polonia. Da Torino, infatti, l’amministratore delegato Sergio Marchionne sembra piuttosto preoccupato per l’alto numero dei no che rischierebbe di far divenire la fabbrica ingestibile. Per questo almeno per ora la partita a scacchi tra i sindacati e Marchionne sembra debba ancora continuare. Il rischio è quello di vedere spostata la produzione della nuova Panda in uno stabilimento estero e perdere così i 700 milioni di investimento, lasciando senza lavoro gli operai di Pomigliano d’Arco.
Ma cosa si è dovuto votare al referendum Fiat di Pomigliano?
Si è dovuto votare che le nuove condizioni di lavoro dettate da Marchionne siano accettate o no. Tra le tante cose, si chiedono di poter attivare 18 turni di lavoro (3 turni per 6 giorni), diminuire le pause, spostare la mensa a fine turno (ovvero pausa pranzo dopo 7 ore e 30 minuti di lavoro), mensa negata per gli straordinaria, annullare le tutele del contratto nazionale sul trattamenti di malattia e possibilità di poter licenziare chi sciopera. Quindi o mangi la minestra o ti butti dalla finestra, perciò parola al voto dei lavoratori. La Fim e la Uilm si auspicano che la Fiat rispetterà gli accordi mentre la Fiom, il sindacato più critico, ha ribadito ancora una volta il suo duro “no” alla proposta di Fiat. Raffaele Bonanni leader della Cisl si è espresso dicendo: “Ha vinto il lavoro e il buon senso”, mentre Luigi Angeletti, segretario della Uil, ha dichiarato che i lavoratori hanno “compreso e condiviso le ragioni” dell’accordo. Secondo alcuni analisti, però, il numero dei sì non sarebbe adeguato a garantire alla Fiat la fine della conflittualità nello stabilimento.
Ma chi sono i vincitori e chi i vinti? In realtà nessuno. O meglio, perdono tutti. Perde infatti la Fiat, i risultati del referendum in sostanza non soddisfano nessuno sia in termini d’immagine che in termini economici, con la Borsa che questa stamattina non è riuscita a dare fiducia al Lingotto. Perdono soprattutto gli operai. L’accordo è in dubbio. E’ il famoso piano C ipotizzato da Marchionne negli ultimi giorni prevede lo scorporo dalla Fiat di una new company che compri e gestisca Pomigliano. E dunque, dopo aver chiuso la fabbrica, formalmente, e aver licenziato tutti gli addetti attualmente in organico, la newco riassumerebbe solo gli operai disposti ai ritmi di produzione codificati nell’accordo. Dicendo, in questo modo, addio alla tutela dei diritti, alle proteste operaie, alle perplessità sindacali. Dando invece così spazio alla nuova teoria del “vuoi lavorare? “prendere o lasciare”: queste sono le condizioni, non solo le devi accettare, ma devi anche dimostrarmi che le rispetterai”. Perde anche la Fiom e quindi anche la Cgil. Il sindacato esce con le ossa rotte da Pomigliano d’Arco. Gli altri due sindacati confederali hanno cercato di mettersi le spalle al sicuro firmando l’accordo e continuando semplicemente ad osservare la situazione. La Fiom invece ha tenuto duro affermando il suo netto no all’accordo e in questo modo ha perso. Ha perso perché ora la colpa mediatica e politica di un mancato accordo a Pomigliano sarà addossata ai metalmeccanici Fiom. Dal canto suo il segretario generale, Guglielmo Epifani è in difficoltà. La Fiom gli è sfuggita di mano, lui non ha voluto o non ha avuto la forza di fermarli. Ora dovrà in qualche modo spiegare ai suoi colleghi confederali, Bonanni ed Angeletti, che già reclamano il rispetto degli accordi da loro firmati, come è possibile che una parte del sindacato da lui guidato ha mandato tutto in aria. E la cosa non sarà facile.