Roma, giovedì 30 gennaio 2013 – Arriva al Teatro Vascello di Roma dal 4 al 9 febbraio lo spettacolo «Il tormento e l’estasi di Steve Jobs», regia di Giampiero Solari con Fulvio Falzarano, video di Cristina Redini, luci di Paolo Giovanazzi. Il testo è tratto da “The Agony and Ecstasy of Steve Jobs”, di Mike Daisey, traduzione e adattamento di Enrico Luttmann. Entrato nell’immaginario collettivo, quasi fosse James Dean o Marylin Monroe, Steve Jobs nella sua folgorante parabola ha riattualizzato e rilanciato l’etica americana del self-made man e del sogno americano nel nuovo Millennio. La Apple, nata in un garage di Palo Alto nei primi anni 70, e il suo co-fondatore sono icone indelebili perché uniscono e incarnano tecnologia e estetica, ossia mettono al centro dell’attenzione comunque l’uomo e le sue esigenze. Solo che l’attenzione alla semplicità e alla funzionalità del prodotto, costruito intorno alle esigenze dell’utente, e il marketing spinto all’ennesima potenza, celano anche l’esigenza del massimo profitto. E non a caso il Mac per anni ha raggiunto al massimo il 10% del mercato totale del personal computer, ma alla Apple bastava solo quel 10% per essere una delle prime aziende al mondo per profitti.
Pertanto, come sempre accade a figure straordinarie, anche quella di Jobs presenta dei lati oscuri e Mike Daisey, coraggioso drammaturgo americano, li evidenzia in un testo dinamico e critico allo stesso tempo. Un tipo di teatro che si fa strumento di discussione viva e che ha suscitato notevoli reazioni polemiche., tanto che la Apple ha dovuto fare precisazioni, ma anche Daisey si è visto costretto a dare conto di alcune sue “interpretazioni artistiche” non proprio rispondenti al vero, tanto che il suo testo continua ad essere aggiornato e dettagliato. Grazie alla traduzione e all’adattamento di Enrico Luttmann e alla sensibilità di un regista attento al contemporaneo come Giampiero Solari, rimasto affascinato dal progetto «Il tormento e l’estasi di Steve Jobs» esordisce in Italia, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.
«Steve è stato bravissimo – scrive Mike Daisey – ci ha costretto ad aver bisogno di cose che non sospettavamo nemmeno di volere»: e così vai con i coloratissimi iPod, con gli iPhone, con la libertà assicurata dall’iPad. Libertà e purezza: l’attenzione al design e alla tecnologia “alla portata di tutti” di Apple ci avevano forse illuso. Dietro il successo però c’è altro. L’assemblaggio dei nostri preziosi computer avviene a Shenzen, in fabbriche dove non esistono tutela né diritti degli operai, dove piccole mani di dodicenni puliscono i vetri degli iPhone con una sostanza tossica che li condannerà a un invalidante tremore. Fabbriche dove in nome del profitto 430.000 operai sono trattati da “ingranaggio umano” e dove il problema dei suicidi dei lavoratori si è affrontato, installando reti sotto i capannoni. La Apple può ignorarlo? Daisey denuncia, non condanna: augurandosi forse che la consapevolezza collettiva faccia sì che quella mela che illumina i nostri oggetti più amati, possa un giorno non nascondere alcun marciume.