Roma, domenica 19 dicembre 2010 – Nel 1990 Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano, amico di Leonardo Sciascia, collabora alla stesura del film tratto da Diceria dell’untore, il suo primo romanzo. A distanza di vent’ anni, la storia del sanatorio della Rocca sulle alture di Palermo ritorna a vivere sul palcoscenico. In scena dal 1 al 12 dicembre al Teatro Mercadante di Napoli. Da notare la presenza di Luigi Lo Cascio, già interprete kafkiano sullo stesso palco nel 2006, nei panni del protagonista, un reduce di guerra malato di tubercolosi. Il lavoro toccato a Vincenzo Pirrotta, regista e curatore dell’adattamento del testo, non è dei più semplici. Rielaborare la prosa bufaliniana significa calarsi in una dimensione onirica, sublime, che trascina il lettore in un mondo parallelo da cui è difficile far ritorno. A suo favore gioca, però, la poeticità dell’opera che ben si presta ad essere recitata, se la si è prima vissuta. E’ incredibile che uno dei capolavori letterari più celebri del Novecento sia stato scoperto per puro caso. Fu proprio la pubblicazione di un’introduzione a un volume fotografico curato dalla Pro-Loco a suscitare l’interesse di Leonardo Sciascia ed Elvira Sellerio.
Sono occorsi due decenni perché il professore di lettere – Bufalino allora docente presso un liceo magistrale nella natìa Comiso – si decidesse a consegnare il manoscritto. Nel 1981, grazie all’insistenza della Sellerio, Diceria dell’untore inondò le librerie d’Italia, suscitando così tanta ammirazione, da vincere il Premio Campiello nello stesso anno. All’età di 61 anni Bufalino non era più uno sconosciuto. E dopo il successo della “Diceria” cominciò a pubblicare una serie di opere – romanzi, saggi e aforismi – tra cui “Le menzogne della notte”, il cui solo titolo vale l’intero Premio Strega, assegnatogli nel 1988. “La Gioia ingravida, il Dolore partorisce” (Blake, Proverbi): è la sententia che si legge nel paragrafo “Epigrafi cancellate”, posto a fine narrazione nell’edizione Bompiani, dove Bufalino raccoglie una serie di citazioni e annotazioni interessanti. Una frase più che vera, se si pensa che la “Diceria” venne partorita, appunto, a seguito di un grande dolore, quello della malattia. La tisi, che lo colse nel 1944. Come il protagonista del romanzo, anch’egli fu trasferito in un sanatorio, dove patì grossi tormenti. Un’esperienza che, a distanza di tempo, lo portò a riflettere sulla condizione umana – vita e morte – in un testo che è molto più di una semplice trasposizione biografica.