Nel nuovo libro di Myriam Bergamaschi, autrice di altri testi sindacali, si riscoprire una delle figure di spicco della CGIL nel secolo scorso. Una raccolta di quasi 300 lettere racconta l’intensa attività sindacale di Giuseppe Di Vittorio
di Antonella Furci
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Roma, venerdì 26 giugno 2009 – L’ultimo lavoro della Bergamaschi nasce dalla raccolta delle tante lettere, circa 297, che il Segretario ha ricevuto nel corso del suo operato e che l’autrice ha riportato alla luce durante le sue ricerche di studio. Erano proprio tante le persone a scrivergli e da tutte le estrazioni sociali e generazionali, dai bambini agli anziani, dalle donne ai contadini in cerca di lavoro, dagli operai ai sindacalisti perseguitati dagli ufficiali di polizia. Tutti con la consapevolezza che le loro richieste sicuramente avrebbero ottenuto soddisfazione da parte del sindacalista, il quale si dimostrava sempre pronto a interessarsi non solo al destino della collettività, come il suo lavoro richiedeva, ma anche alle sorti dei singoli cittadini con una premura quasi paterna che si riscontra soprattutto quando i suoi interlocutori sono giovani orfani e a cui il titolo del libro si ispira.
Questa corrispondenza epistolare che Di Vittorio ha sempre mantenuto con il suo “popolo lavoratore”, fino al 1957 anno della sua morte, oltre a farci conoscere il suo lato più umano e più intimo, si rivela, da un punto di vista storico, molto interessante. Le lettere, infatti, possono essere considerate specchio della vita quotidiana dell’Italia degli anni ’30 e ’50 del ‘900. Uno spaccato di vita dell’epoca raccontato in modo semplice ed estremamente vero dalla voce di coloro che vivevano in condizioni più disagiate, i quali inconsapevolmente diventano oggi anche testimonianza della situazione economica e culturale dell’Italia di allora e ciò grazie a una descrizione del contesto sociale così precisa tanto da superare forse qualsiasi ricostruzione storica fatta finora dagli studiosi. In questo libro appare un’ Italia in piena difficoltà nell’affrontare i più gravi problemi del tempo, soprattutto quelli lasciatigli in eredità dalla seconda guerra mondiale, ai quali si aggiungeva, inoltre, la mai risolta “questione Meridionale” di cui Di Vittorio, uomo del sud, ne è stato per tutta la sua vita il portavoce numero uno.
La Bergamaschi, però, non si ferma soltanto a sottolineare la figura profondamente ricca di sentimenti e passioni quale era quella di Di Vittorio, ma evidenzia anche e soprattutto la spiccata intelligenza politica che lo contraddistingueva, facendoci riscoprire un uomo di grande carisma e grande fascino, capace di trascinare con i suoi discorsi migliaia di lavoratori. La sua sorprendente dote consisteva nel riuscire a farsi comprendere da contadini e operai in quanto utilizzava linguaggi estremamente semplici per esprimere concetti prettamente economici. Infine, nello scorrere della lettura, non ci si può non accorgere di come tutta la sua carriera di sindacalista sia stata improntata maggiormente su ciò che lui riteneva fondamentale per il bene comune dei lavoratori italiani, sull’ importanza, cioè, di mantenere ben salda la volontà e l’obiettivo dell’unità sindacale. Un’unità, però, sulla quale il mondo del futuro sindacato non gli ha mai voluto dare ragione in più di una occasione.