Una nuova giornata di lavoro squarcia il sipario assieme ad un pop italiano di venti anni fa, e quattro donne ballando e confusionando irrompono in un piccolo ufficio su un unico fondale rosso fuoco. Tra un tango argentino, invidie, ripicche e gag queste donne, combattono nervosamente, le une contro le altre, per unʼagognata promozione sul lavoro. La vicenda pone in scena il tema della fragilità del nostro vivere, basata su consumismo ed alienazione. Dove non cʼè coesione né appartenenza, non cʼè solidarietà o bene comune. Ognuna di queste donne è una marionetta, una marionetta vittima della società piccolo borghese, soffocata dalle frustrazioni di una grigia esistenza e pronta ad esplodere in scatti improvvisi. Ognuna di esse nella propria condizione di passività, incarna lʼesagerazione caricaturale di un difetto. Il difetto dellʼuna va a scontrarsi con quello delle altre e tra paradossi, saltelli e giochi di parole, irrompe in scena un effetto comico di movimento. Le attrici sono vive e palpitanti quanto basta da trasformare il conflitto in un qualcosa di buffo: Gabriella, impersonata da unʼottima Eleonora Micali che balla sinuosamente, è lʼimpiegata fissata con lo yoga che utilizza il sesso per fare carriera; Anna, nei cui panni si cala bene Silvia Ferrari, è la fastidiosa impicciona; Matilde, impersonata da una brava Veronica Corsi, è la svampita, appassionata solo di tango; Chiara, nelle cui vesti si cala una convincente Lorena Bartolomeo, è la stressata per unʼeccessiva dedizione al lavoro. Anna, Gabriella e Matilde, che pensano solo al divertimento, deridono tutte Chiara per il suo stacanovismo, e pongono in atto verso di lei una sistematica azione di disturbo.
Lo spettatore assiste a sketch esilaranti su accese e paradossali discussioni, giocate per lo più sulla mimica di ogni attrice, dove il contrasto si risolve nella rinuncia al comprendersi. In questa giungla al femminile, lʼaspetto conflittuale degli incontri, si manifesta principalmente nella difficoltà del dialogo, sancito da maschere, incomprensioni e vicendevole frapponimento di distanza fisica. Le attrici, attraverso scatti caricaturali e contratte espressioni, portano in scena lʼimpazienza dei loro rispettivi personaggi, incastrati nella loro opprimente realtà quotidiana. Tra balbettii e motti imbarazzanti il finale della storia è una beffa. Lʼindividuo, uomo o donna che sia, mosso solo dal proprio interesse personale condanna sé stesso ad isolamento ed insoddisfazione. Il regista Sasà Russo porta in scena con ironia amara e pungente il lato buffo di un alienante mondo del lavoro: ogni personaggio dovrà constatare che lʼegoismo non paga, e che nella lotta senza quartiere alla fine perdono tutti. Da Aristotele: “il riso crea coesione”. Portare in scena lʼalienazione dellʼodierna classe lavoratrice suscitando il riso è forse un tentativo per diffondere tra noi quel senso di coesione sociale che manca ai quattro personaggi dellʼopera teatrale, ovvero nellʼattuale spaccato di società.