Si è conclusa la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, istituita nel 1908 e dettata quest’anno dalla dolorosa situazione della Corea
di Lilly Amato
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Roma, lunedì 26 gennaio 2009 – Nel mondo cristiano, fin dalle origini, sono stati numerosi i dibattiti e le divergenze. La settimana che ci ha appena lasciato è stata dedicata ad uno dei temi più sofferti e delicati della sua storia: l’unità dei cristiani. Nata dal giudaismo, la religione cristiana si fonda sulla persona e sulla predicazione di Gesù Cristo e sui vangeli. Ma diverse sono le dottrine e le comunità religiose al suo interno. Era il 1908 quando il reverendo Paul Wattson istituì e celebrò per la prima volta a Graymoor (New York) un "Ottavario di preghiera per l’unità", dal 18 al 25 gennaio, auspicando che diventasse pratica comune. Nel 1964 a Gerusalemme, papa Paolo VI e il patriarca Athenagoras I pregarono insieme secondo le parole del testamento di Gesù: "Che tutti siano una cosa sola affinché il mondo creda" (Giovanni 17, 21). Nello stesso anno, il decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II sottolineò che la preghiera è l’anima del movimento ecumenico ed incoraggiò l’osservanza della Settimana di preghiera.
Nel 2008 è stato celebrato solennemente in tutto il mondo il primo centenario della Settimana di preghiera per l’unità, il cui tema "Pregate continuamente" ha manifestato la gioia per i cento anni di comune preghiera e per i risultati raggiunti. Quest’anno il tema è stato "Essere riuniti nella tua mano", ispirato dai cristiani della Corea (cattolici, protestanti, ortodossi) e riveduto per la divulgazione internazionale dal Comitato Misto per la Preghiera. Come si focalizza nella presentazione, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2009 parte da uno sforzo di tutti i cristiani delle varie parti del mondo. Il versetto che ne è tema è tratto dalla seconda grande visione del profeta Ezechiele, il cui nome significa ‘Dio lo rende forte’. I Coreani lo citano emblematicamente, poiché si trovano nella medesima situazione da cui era partito Israele prima dell’esperienza dell’esilio di Ezechiele e della sua generazione. Anche la Corea, infatti, è un paese diviso in due stati: quello del nord e quello del sud e, malgrado la divisione e la terribile guerra di oltre cinquant’anni, si sente un’unica nazione. Questa è la realtà della cristianità, una realtà divisa, ma che ha come speranza centrale quella di "formare un solo bastone nella mano di Dio" (Ezechiele 37, 17). Il miracolo della storia d’Israele fu che un popolo disperso potè portare un messaggio unitario al mondo: la Bibbia. Anche oggi il mondo cerca unità: il mondo occidentale, dove non mancano affatto i mezzi di sussistenza, corre dietro a sogni irraggiungibili e appare dimentico dei veri significati della vita; il terzo mondo, invece, si trova nella quasi impossibilità di vivere per la mancanza assoluta dei beni di sostentamento. Ecco che la sola arma è la preghiera, rivolta a Dio da ogni parte della terra, preghiera che esige una conversione all’amore e alla giustizia che trovano la loro realizzazione sulla Croce.
Papa Benedetto XVI ha affermato che l’iniziativa si estende sempre più, secondo l’unità tanto invocata da Cristo: "Il Signore desidera che l’intero suo popolo cammini con pazienza e perseveranza verso il traguardo della piena unità". I titoli per ogni giorno della Settimana hanno posto e continuano a porre le comunità cristiane ‘di fronte alle vecchie e nuove divisioni’, ‘alla guerra e alla violenza’, ‘all’ingiustizia economica e alla povertà’, ‘alla crisi ecologica’, ‘alla discriminazione e al pregiudizio sociale’, ‘alla malattia e alla sofferenza’, ‘alla pluralità delle religioni’ per giungere a proclamare la speranza cristiana, in un mondo di separazione. In Corea, come nel mondo, i cristiani soffrono sulla propria pelle la divisione, pretendendo di essere ciascuno in possesso della verità assoluta, da imporre agli altri cristiani. Come i credenti sottolineano, quasi si è dimenticato che il principale comandamento è "amare il prossimo come se stessi", senza volerlo cambiare, ma piuttosto cambiando se stessi. I cristiani della Corea hanno scelto il motto "Formino una cosa sola nella tua mano" per indurre in riflessione i due miliardi di cristiani del pianeta. Come Ezechiele, i rappresentanti delle Chiese in Corea desiderano l’unità del popolo. Come Ezechiele che fu chiamato a restituire la speranza al suo popolo, ugualmente disperato politicamente e religiosamente. Nella penisola coreana gli abitanti sono nell’impossibilità di comunicare con i propri genitori, figli, fratelli, sorelle, amici che vivono dall’altra parte. Il sistema politico nord-coreano proibisce ai propri abitanti di appartenere a una tradizione religiosa di loro scelta. Sono violenze che esistono in tutto il mondo a causa di quella scissione; violenze che solo una vera preghiera mondiale vuole e può cancellare.